«Zweierlei Volkstümlichkeit. Grundsätzliches zu einem Hörspiel è stato redatto nel 1932 e pubblicato sulla rivista mensile «Rufer und Hörer. Monatshefte für den Rundfunk», anno II n. 6 (settembre 1932), pp. 284 sg». [L'opera d'arte nell'epoca della riproducibilità tecnica e altri saggi sui media, a cura di Giulio Schiavoni, RCS Libri, Milano 2013].
Versione di: Leonardo Maria Battisti.
Il radiodramma Cosa leggevano i tedeschi mentre i loro classici scrivevano (di cui il lettore può leggere alcune parti in questa rivista) cerca di tener in cale certe osservazioni di principio su quel genere di popolarità cui la radio deve tendere nelle sue rassegne letterarie. Nel proporsi, per molti aspetti, in termini rivoluzionari, la radio è o dovrebbe esserlo soprattutto rispetto a ciò che s'intende per popolarità. Nella sua vecchia concezione, la volgarizzazione (per pregevole che fosse) era un'attività secondaria. E ciò si spiega facilmente: prima della radio, non si conoscevano quasi modi di diffusione efficaci per scopi eminentemente popolari o di formazione popolare. C'erano il libro, la conferenza, la pubblicazione periodica: le stesse forme di comunicazione atte a trasmettere i progressi della ricerca scientifica a gruppi specializzati. La diffusione destinata alla gran massa avveniva così nelle forme tipiche di quella scientifica, senza un'apposita metodologia. Le bastava rivestire il contenuto di certi rami del sapere di una forma assai colloquiale, e magari cercar punti di aggancio nell'esperienza, nel buon senso della gente: ma tutto ciò che dava era sempre di seconda mano. La divulgazione era una tecnica subordinata: lo prova la scarsa stima di cui godeva.
L'effetto più interessante della radio è aver sconvolto tale situazione. Dalla possibilità tecnica di rivolgersi a una massa illimitata di persone, la divulgazione è andata oltre il suo carattere di buona intenzione filantropica: è divenuta un compito da svolgersi secondo leggi di forma e di modo diversi dai vecchi metodi quanto la moderna tecnica pubblicitaria differisce dai tentativi del secolo scorso. L'esperienza dice che la divulgazione vecchio stile si basava su un patrimonio scientifico consolidato e sperimentato, che essa illustrava nel modo in cui lo facevano le scienze (tralasciando però i ragionamenti più difficili). L'essenziale di questo tipo di divulgazione era l'omissione: il suo schema era in un certo senso sempre il libro di scuola (con le parti principali stampate in grande e le digressioni stampate in piccolo). Ma la popolarità (più vasta nonché più intensa) data dalla radio non può servirsi di tale procedimento. Esige una totale trasformazione e un diverso assemblaggio del materiale, partendo dal paradigma della divulgazione. Non basta più adescar (per così dire) l'interesse con un qualsiasi spunto d'attualità, per offrir poi di nuovo, a chi tende incuriosito l'orecchio, solo ciò che può sentire alla prima serie di conferenze culturali. Invece serve trasmetter all'ascoltatore la certezza che sia il suo personale interesse a dare importanza alla materia oggetto di esame, e che le sue domande (benché non possa esprimerle direttamente al microfono) richiedono nuovi accertamenti scientifici. Così al precedente rapporto esteriore fra scienza e divulgazione si sostituisce un procedimento nuovo che la stessa scienza non può ignorare. Infatti è una divulgazione che non mobilita più solo il sapere verso il pubblico, bensì al contempo mobilita il pubblico verso il sapere. In breve: l'interesse autenticamente popolare è sempre attivo, muta la materia del sapere e agisce anche sulla scienza stessa.
Più vivacità è richiesta dalla forma in cui si tiene tale lavoro didattico, più è intransigente la pretesa che sviluppi davvero un sapere vivo, e non solo una vitalità astratta, generica e non verificabile. Quanto finora scritto vale di più per il dramma radiofonico che si prefigge di istruire. Circa le rassegne letterarie, non si ottiene molto né con dialoghi artificiosamente costruiti mediante citazioni o estratti da libri o lettere, né tanto meno usando della dubbia audacia di mettere in bocca a Goethe o a Kleist, davanti ai microfoni, le parole di chi ha scritto il testo. E poiché l'un modo è equivoco quanto l'altro, l'unica via d'uscita è affrontare direttamente la problematica scientifica. Proprio questo ho tentato di fare nel mio esperimento, in cui i campioni della cultura tedesca non vi intervengono di persona, né s'è ritenuto giusto di far ascoltare quanti più escerti di opere. Per arrivare all'essenza, si sono anzi intenzionalmente prese le mosse dalla superficie. S'è tentato di illustrare agli ascoltatori ciò che era in effetti così diffuso e popolare da consentire una tipizzazione: cioè non la letteratura, ma le conversazioni letterarie di quell'epoca. Ma come tali dibattiti (nei caffè e alle fiere, alle aste e durante le passeggiate) influenzavano in modo tangibile l'evoluzione di correnti poetiche e giornali, sulla censura e sul mercato librario, sulla cultura giovanile e sulle biblioteche circolanti, sull'Illuminismo e sull'oscurantismo, così hanno al contempo strettissimi rapporti con la problematica della critica letteraria avanzata (che tende sempre più a scrutare le condizioni poste alla creazione poetica dagli eventi coevi). Ricomporre le discussioni sul prezzo dei libri, sugli articoli dei giornali, sui libelli, sulle nuove pubblicazioni (di per sé stesse le più superficiali immaginabili) è uno dei compiti meno superficiali per la scienza, poiché tale ricostruzione postuma impone una non facile ricerca sistematica alle fonti dei fatti. In breve: il mio radiodramma si sforza di stare a più stretto contatto con le ricerche intraprese negli ultimi tempi nell'ambito della cosiddetta sociologia del pubblico. La sua migliore conferma consisterebbe nell'avvincere l'esperto non meno del profano, sia pure per diversi motivi: e con ciò pure il concetto d'una nuova popolarità pare aver trovato la sua più semplice definizione.
Ultima modifica 2019.12.19