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Negli ultimi giorni di ottobre del 1917 (calendario russo) un fatto politico di enorme portata incideva caratteri indelebili nel libro della storia. Il proletariato di Pietroburgo e di Mosca s'impadroniva del potere sotto la guida del partito bolscevico. Due capi giganteggiarono nel grande evento storico: Lenin, l'incomparabile maestro del movimento rivoluzionario, e Trotzky, anima e genio dell'insurrezione proletaria. Il mondo in furore si arrestò un istante nella sua selvaggia opera di distruzione. Volse uno sguardo incredulo ed attonito alla piane infinite di Russia. Sulle bianche nevi spiccava una bandiera rossa fregiata di falce e martello. Dopo un attimo di perplessità gli uomini in lotta ripresero ancora a guardarsi in faccia come per dire: “la vedremo poi”, e rincominciarono la loro lotta annientatrice.
Un soffio di speranza si levava intanto dal grembo delle masse impoverite e decimate. In mezzo a tanto furore e tanto oscurantismo, per questi esseri si era levata una luce altissima. “la luce viene dall'oriente”, fu una parola, e per la seconda volta nella storia la pigra massa degli sfruttati alzò il capo dall'usato lavoro e scrutò l'orizzonte; allargò le narici onde fiutare il vento, come un animale da preda che esce dalla tana, e le parve che fosse buon vento, che la volta buona era giunta. Cento quarant'anni prima era stata destata dagli spari di Valmy e persino i montanari scesero le loro valli muniti di picche e di scuri. Giunti allo sbocco nelle piane, videro alzarsi lontano delle nuvolette bianche ed una pioggia di ferro si abbatté sulle loro file: furono accolti dai cannoni della borghesia. Si erano sbagliati; girarono i talloni e risalirono quelle valli che avevano sceso con una secolare speranza rinverdita d'un tratto. Furono dei saggi, compresero subito che il loro tempo non era ancora venuto e si riappollaiarono tra i loro monti in una nuova e lunga attesa. Questa volta però non si fermarono più la dove le valli sboccano nelle piane, non vi trovarono più il fuoco di sbarramento dell'artiglieria borghese e dilagarono da padroni nei campi dei signori del mondo. Lo stato degli operai e dei contadini veniva proclamato, la diana della rivoluzione proletaria si diffondeva ad ondate dalle torri del Kremlino e le guardie rosse bivaccavano nei cortili di Ivan il Terribile. Gli strati più infimi della popolazione lasciarono il loro sopore secolare, i loro quartieri e mostrarono i loro cenci nelle vie principali delle grandi città portandovi la psicosi di vigilia di una presa del potere.
Dopo tre o quattro anni di questa immane alta marea che parve sommergere le potenti dighe capitaliste, l'acque riabbassarono brontolando con qualche ripresa a destra e a sinistra, ma senza logica rivoluzionaria: ondate che venivano da lontano come prodotte dal passaggio di una nave di grande stazza e non del rimescolio profondo del mare. La forza potenziale dell'alta marea rivoluzionaria o fu usata male e non fu messa in opera, e la, dove degli ingegneri specialisti della rivoluzione seppero tradurla in energia, la trovarono poi in secca isolata e imponente per il riabbassarsi dell'acqua tutt'intorno. Grazie all'opportunismo dei partiti proletari d'occidente la rivoluzione russa fu ridotta ad un'oasi del deserto e di socialismo, ossia in economia proletaria internazionale, non fu più il caso di parlarne (A quei tempi scusavamo il fascismo socialista in Russia con il fiasco della rivoluzione europea. Spiegazione nettamente politica, non economica e, quindi, non marxista. Ci avvedemmo poiché gli “scientifici” del socialismo si erano nient'altro che dimenticati di mettere a punto il sistema economico socialista. Lenin, Stalin e Trotzky, non potevano applicare quello che non c'era. Si accontentarono di “collettivizzare” la proprietà, passandola allo Stato. Si potenziava insomma nel modo più efficiente proprio quell'organo che il socialismo deve progressivamente eliminare.
I nemici dei monopoli creavano un monopolio totale di stato privo dell'intelligenza e capacità capitalista, tarato dall'insufficienza, dalla poltroneria e dalla grettezza burocratica. Era già chiaro che ne dovesse scendere un mostro di socialismo, ma ancora non si capiva... Il socialismo non è “un'economia proletaria internazionale”, ma l'edificio sociale che si erge su di un sistema economico capitalista (in termini di costi e di mercedi). Se internazionalizzato a mezzo di un mercato smepre più vasto si perfeziona come un capitalismo, potrebbe allo stesso modo ancora oggi perfezionarsi ed in parte sopravvivere per qualche tempo. Non vi è socialismo senza rapporti di produzione socialisti, come non vi è capitalismo e feudalesimo senza i corrispondenti rapporti di produzione. O si trova nell'ordine economico dell'azienda socialista o il socialismo resterà una speranza “internazionale”.)
Non è però neanche più il caso di parlarne di capitalismo per quanto concerne la natura sociale dello stato cosiddetto sovietico. E di che cosa dunque si tratta? Ecco la questione.
È strano che dopo oltre vent'anni dell'avvento della rivoluzione russa non ci sia sia ancora applicati allo studio del risultato sociale di questo grande fatto storico. L'URSS viene discussa, commentata e cronacata quasi unicamente da un punto di vista politico da amici e da avversari. Sul fatto sociale si soprassiede; eppure, dopo vent'anni, non crediamo sia possa ancora di parlare di periodo transitorio o di trasformazione; una certa determinata concretizzazione sociale deve pur aver raggiunto la sua cristallizzazione. C'è chi ha visto “l'impero del lavoro forzato”o “la rivoluzione tradita”, chi “il trionfo del fascismo” e chi “il paese della grande menzogna”, c'è chi sospira su “destino di una rivoluzione” e c'è chi ha fatto “il bilancio del comunismo”. Sono state scritte delle opere veramente pregevoli per argomentazione da scrittori che scorrono la gamma dei partiti dai comunisti, ai borghesi, ai fascisti. Degli studiosi si sono interessati all'argomento e sono andati a fare i rilievi sul posto. Operai francesi, tedeschi od americani corsero entusiasti nel paese dove si dovevano realizzare le loro speranze sociali e se ne ritornarono col cuor gonfio di tristezza o con l'animo avvelenato per lasciarci delle documentazioni obbiettive, pratiche interessantissime sulla vita, il lavoro e la libertà del paese dei soviet.
Tutta questa massa enorme di letteratura non offre però nulla relativamente alla cristallizzazione sociale dell'URSS e tanto meno ci ha offerto una sintesi. Brevi accenni sono emersi indubbiamente qua e la senza un vero e proprio interessamento diretto; sono piuttosto il frutto naturale e occasionale della polemica che il risultato sistematico di una ricerca sociologica. Lo stesso Trotzky, che riteniamo il massimo conoscitore delle condizioni attuali e dell'evoluzione vissuta dallo stato sovietico, confessa di avere impiegato nove paragrafi nel tentativo di dare una definizione all'URSS, socialmente parlando. Noi stessi due anni fa, con un nostro modesto lavoro: Dove va l'URSS?, non riuscimmo a dare alcuna risposta.
Il punto di domanda era proprio li a chiedere quello che noi stessi ci domandavamo, ma, se non riuscimmo, ponemmo almeno la questione. Nel 1938 il nostro travaglio mentale era terminato. Ci eravamo fissati e, quando avveniva nel campo sociale negli altri paesi del mondo, confermava quanto noi avevamo finito per ritenere come acquisito nel campo sociale dello stato sovietico. Dato che il mondo è ormai ridotto ad una sola forma di civiltà, capitalista, la trasformazione sociale di uno stato qualsiasi è di vivo interesse per tutto il resto del pianeta, poiché in una localizzata, precoce trasformazione il mondo può vedere nella sua immagine riflessa della sua forma sociale futura. Sull'URSS se ne sono dette di tutte i colori; la stampa prezzolata ed oratori a cottimo invece di chiarire il problema l'hanno artificialmente offuscato. Sono state dette le più grandi castronerie ed anche le più grandi vigliaccherie.
In realtà il fenomeno sociale era anche difficile ad intendersi specialmente per tutti quei giornalisti visitatori della Russia che poco o nulla sanno di Marx, di Lenin e delle loro teorie. Per di più, il fenomeno sociale in formazione ebbe da prima una direzione nella linea comunista e l'arresto della rivoluzione proletaria del mondo produsse poi una degenerazione che solo in questi ultimi anni ha finito per fissare socialmente le sue forme. Oggi la sagoma sociale dello stato sovietico ha assunto delle linee decise, quasi complete. Noi almeno le riconosciamo per tali anche se gli stessi specialisti del problema insistono su una tesi diversa. Gli specialisti sono pochi e vanno ricercati in quella schiera di rivoluzionari che hanno abbandonato la Terza Internazionale ritenendola ormai passata da tempo e definitivamente su di un terreno nettamente opportunistico. Anche costoro sono arrivati alla questione della natura dello stato sovietico unicamente in conseguenza dello loro diatribe interne di frazione sulla tattica e la strategia della rivoluzione proletaria. Ad essi non veniva neanche in mente la possibilità di una cristallizzazione sociale intermedia tra il capitalismo e il socialismo, ma, nel fuoco delle loro polemiche il problema si è imposto inequivocabilmente a mantiene quelle divergenze dottrinarie che stanno alla base della loro importanza politica.
Che cos'è oggi l'URSS? Noi saremo dapprima volutamente imprecisi nella diagnosi di questa società; alle precisazioni passeremo poi. Anzitutto voliamo solo fissare quello che è stato unicamente ammesso (a questo punto del mio film di pensiero credetti che l'URSS rappresentasse un tipo di ordine sociale non ancora socialista ma progressivo nei confronti del capitalismo. A questo errore fui indotto sia dal “marxismo”, sia dalla legge del progresso continuo strombazzata dagli universitari. Verso la fine del libro capii che l'URSS era si una nuova sintesi storica della società, ma di regresso. Cessai di scrivere il mio film , perché diventava pericoloso nel clima dello stato fascista; passai in Inghilterra e in Francia dove scrissi la prefazione.).
Non si tratta certamente di uno stato democratico, ma bensì di uno stato autoritario. L'economia non è borghese e fonda sulla proprietà privata,ma è basata su di una proprietà collettiva dei mezzi di produzione. È pure genericamente ammesso da Citrine a Trotzky e da Roosevelt a Mussolini che l'economia sovietica non è socialista. C'è il solo Stalin che è di parere diverso per ovvie ragioni e non vi daremo quindi troppo peso. Decine di scrittori gli hanno fatto ringoiare il suo socialismo e la sua Costituzione “la più democratica del mondo”. Lui non batte ciglio e naturalmente proibisce queste pubblicazioni nel paese della “vita felice” e “più democratico del mondo”.
Altra caratteristica indubbia documentata da Trotzky, Citrine, Victor Serge, Ciliga e da una folla di scrittori delle più disparate nazionalità e teorie politiche è che in nessun paese capitalista o fascista del mondo il proletariato si trova in simili tristi condizioni come nella Russia dei Soviet. Non vi esiste libertà di parola, di riunione e di stampa. La delazione è all'ordine del giorno e lo stato è caratteristicamente poliziesco. Sono tutti d'accordo ancora che lo sfruttamento umano permane nel paese della “vita felice”, concretato in quel tale plus-valore che i signori capitalisti spremevano dai lavoratori. Le divergenze nascono soltanto quando si tratta di individuarne gli accaparratori.
Altro lato caratteristico e non trascurabile è che le manifestazioni statali sono reclamistiche e coreografiche come negli stati totalitari occidentali; la venerazione vera o finta per il capo innalzato quasi a divinità vi è identica e forse maggiore. La gerarchia è in auge ed il servilismo spinto agli estremi limiti. La gente vive in un ambiente di timore quasi le mura parlassero: ha un aspetto in pubblico e ne ha un altro in privato. Integrando questi dai, generalmente ammessi, con le nostre differenziazioni, la fisionomia politica e sociale dello stato sovietico risalta a nostro avviso bene definita e come tale ci proponiamo di spiegarla al lettore.
La Rivoluzione d'Ottobre aveva lo scopo principale di servire da leva alla rivoluzione in occidente. Nel contempo però furono prese le misure di una politica economica socialista. Fondamentalmente fu abolita la proprietà privata del suolo e delle grandi aziende industriali. La direzione economica di questa proprietà passò dalle mani della classe borghese sconfitta a quelle del proletariato trionfante. Le premesse economiche per una trasformazione socialista nell'URSS non erano certamente delle più allegre; il paese era fondamentalmente contadino ed analfabeta, l'industria di gran lunga inferiore alle necessità di un economia d'avanguardia. Se i bolscevichi non appena presero il potere si attaccarono alla radio sollecitando i vari proletariati europei a seguire il loro esempio fu anche perché sentivano e capivano che la Rivoluzione Russa senza innesto di una nazione occidentale tecnicamente sviluppata, con una classe proletaria vasta ed elevata, era fatalmente votata alla disfatta sul terreno economico-sociale, anche se militarmente ed in modo eroico riusciva a resistere agli assalti del vecchio mondo. Il proletariato tedesco si presentava come il naturale alleato della rivoluzione bolscevica. La sua borghesia usciva disfatta ed affranta da una guerra offrendogli quasi il potere senza colpo ferire. Salvo i moti spartachisti e il sacrificio di Carlo Liebknencht e di Rosa Lunxemburg, il proletariato tedesco passò di disfatta in disfatta. Ancora una volta gli si offerse il potere nel 1923, ma disertò il campo senza lotta cosi come senza lotta lo lasciò più tardi alle schiere hitleriane. Colpa dei capi? Della Terza Internazionale? No, di tutti in blocco, proletariato tedesco compreso, troppo freddo, attaccato all'ordine e di natura scarsamente rivoluzionaria. Cinquant'anni prima gli operai di Parigi avevano eretta la Comune dopo la disfatta della borghesia francese nel 1870 e centomila di loro, battutisi solo con una tenue speranza ed in un ambiente economico immaturo, si lasciarono abbattere come stoici sulle mura di Parigi.
I signori marxisti (Mentivo, scrivevo in regime fascista senza sapere dove e quando avrei stampato quanto vergavo; cercavo di mimetizzarmi da antimarxista. Io badavo proprio fondamentalmente all'economia, almeno per quel poco che se ne sapeva, ma è un fatto che il marxismo può spiegare le grandi linee della storia, non i suoi particolari. L'economica pone il divenire sociale su di un determinato piano inclinato, ma la via per raggiungere il fondo può essere diversa, nonché precoce o ritardataria. Adesso mi spiego benissimo la disfatta del socialismo in Russia; non furono applicati rapporti socialisti di produzione e di distribuzione), quelli che badano solo all'economia, quelli che fanno unicamente la politica con le statistiche, possono andare sulle furie come vogliono, ma lo spirito poco rivoluzionario del proletariato tedesco c'entra moltissimo in questa disfatta della classe operaia europea mondiale, così come c'entra quello schiettamente rivoluzionario del proletariato russo nella vittoria d'ottobre.
Il popolo tedesco non ha mai fatto una rivoluzione e nello sviluppo politico ha sempre seguito col ritardo di un secolo almeno le altre nazioni. La Francia, al contrario, si è sempre svenata per il mondo. Le condizioni economiche sono le condizioni sine qua non delle possibilità d'una trasformazione sociale; ma una volta che son poste, ossia maturate, il successo rivoluzionario è tutta questione di spirito insurrezionale in chi si deve battere e di capacità rivoluzionaria dei capi. Che i signori marxisti spieghino la disfatta del proletariato europeo con il materialismo storico, se sono capaci. Non era forse ultra-matura l'economica per il trapasso? Per farla corta e non star qui a ripetere quello che è stato detto in mille modi, con la disfatta della rivoluzione proletaria tedesca la dittatura del proletariato russo veniva a trovarsi isolata in un mondo capitalista ed ostile.
Il risucchio di quell'ondata rivoluzionaria, che aveva impaurito il mondo borghese subito dopo la guerra, era generale; le prospettive rivoluzionarie per ogni osservatore di buon senso andavano alle calende greche. Il capitalismo intanto tirava il fiato con un aumento di produzione spintosi fino al 1929 principalmente a mezzo dei lavori di restauro delle zone devastate dalla guerra e del rifacimento delle scorte. L'esperimento russo era messo al bivio: o vivacchiare puntando fondamentalmente sulla rivoluzione proletaria in occidente, o mettersi d'accordo con il mondo esterno e cambiare quindi radicalmente la politica. Fu scelta la seconda soluzione e Stalin ne fu prima l'ispiratore, poi l'implicabile esecutore, naturalmente questo radicale cambiamento di politica doveva venir nascosto almeno nella forma sia al proletariato russo, sia a quello internazionale.
La faccenda non fu molto difficile; è quasi cent'anni che i lavoratori vengono regolarmente e sistematicamente gabbati da tutte le sfumature di partito rossi che sono apparse sulla scena politica. Il proletariato russo ed internazionale si è subito anche questa solenne mistificazione senza dar troppi segni di legittima collera contro i suoi capi, regolarissimi traditori. Pare quasi ci abbia fatto l'abitudine, il callo. La morte di Lenin richiedeva un successore e la figura più degna, sia moralmente, sia intellettualmente, era Trotzky. La sua dittatura rivoluzionaria ed il suo genio avrebbero difeso certamente assi meglio il primo stato proletario affermatosi nel mondo. Ma Trotzky fu messo in disparte, ostracizzato e boicottato in modo unanime dagli epigoni della rivoluzione. Chi conosce un poco i partiti socialisti e comunisti non si meraviglia affatto di un fenomeno del genere. Siccome Trotzky giganteggiava nella schiera della guardia leninista, si pensò bene di neutralizzarlo ed in questo modo un primo grave ostacolo ed uno scocciatore, che avrebbe molestato la campagna di imbonimento nazionale ed internazionale, fu messo da parte (La realtà è ancora che la vera dittatura fu quella del partito bolscevico e non quella del proletariato; la si concentrò nelle cellule, non nei soviet. Avvenne cosi che quel partito, unico al mondo, che non aveva tradito i lavoratori prima della situazione rivoluzionaria, li tradì a successo avvenuto quando si credeva che di pericoli non ce ne sarebbero stati. I teorici della dittatura sul proletariato, quelli che concepivano il partito bolscevico solo pleonasticamente come guida di un regime democratico di soviet e negli effetti come monopolizzatore della direzione sociale proletaria, hanno offerto uno spettacolo di una degenerazione burocratica che la congiuntura storica rendeva più facilmente attuabile. Il proletariato si trovò spossessato dai suoi uomini di fiducia, anche da quelli che l'avevo condotto all'assalto e alla vittoria, ma più particolarmente dalla massa immensa dei parvenus. Un partito con poteva pretendere di erigersi a dittatore con un programma sociale enorme che richiedeva la partecipazione ed il controllo di tutti i lavoratori. L'unica garanzia era nella classe proletaria con tutto il potere ai soviet.).
Tutto quello che è successo dalla morte di Lenin in poi è stato largamente raccontato da diversi scrittori; quello che a noi interessa in questo lavoro è di fissare i risultati sociologici raggiunti. Nell' opera di collettivizzazione della terra e d'industrializzazione del paese i funzionari statali e di partito scalzarono sempre il potere dei lavoratori fino a divenire i monopolizzatori dello stato. In quest'opera dovettero legarsi a filo doppio coi tecnici dei quali non si poteva fare a meno cosi la prima saldatura nella formazione della nuova classe dominante in Russia veniva realizzata. La campagna stacanovista ne è un'espressione e rappresenta anche un nuovo metodo per pungolare la massa lavoratrice ad un maggiore rendimento. Altre saldature seguirono con gli incensatori prezzolati del regime, con l'adesione delle alte cariche militari e di tutta la burocrazia parastatale. Siamo così arrivati ad un punto in cui tutta la direzione economica e politica è monopolizzata dalla burocrazia e la nuova Costituzione non fa che sanzionare ufficialmente il fatto. In questa burocrazia non c'è che una divisone di lavoro; nel complesso è tutto diretto al mantenimento del predominio politico e dei privilegi economici raggiunti.
I burocrati con le loro famiglie formano all'incirca una massa di 15 milioni di abitanti. Ce n'è abbastanza per costruire una classe e, quando Trotzky ci assicura che il 40% della produzione viene arraffato dalla burocrazia, crediamo di poter dire che la classe è anche privilegiata. Avendo tutte le leve economiche nelle mani, salvaguardate da uno stato poliziesco e espressamente eretto, la burocrazia è onnipotente. Fissa a piacere i salari e i prezzi di vendita al pubblico con delle maggiorazioni sui costi, per cui le “sanguisughe” borghesi d'una volta appaiono come “onesti commercianti”, due o tre volte superiori a quelle in uso nei deprecati paesi capitalisti. Citrine ce ne dà una documentazione inoppugnabile. Certe volte la burocrazia acquista persino del grano a vil prezzo tra i contadini per rivenderlo agli operai 10 volte maggiorato. Il piano economico è naturalmente un affare di completa pertinenza burocratica e gli investimenti seguono logicamente quelle vie che sono più proficue agli interessi della nuova classe.
La stampa sovietica stessa documenta le condizioni miserabili in cui abitano gli operai ai quali è riservata una media di 5 metri quadrati d'abitazione, ma, invece di erigere nuove e più decenti case operaie o solamente queste, si pensa alla costruzione della casa dei Soviet alta 360m poiché, in realtà non è la Casa dei Soviet, ma quella della burocrazia sovietica. Se si chiedono le ragioni di questa cattiva amministrazione del pubblico denaro, il burocrate interpellato risponde invariabilmente che gli operai non hanno mosso alcuna obiezione, come se fosse pacifico che i lavoratori dell'URSS, possono liberamente esprimersi ed opporsi alle decisioni dei loro padroni.
Tra i burocrati (funzionari, tecnici, poliziotti, ufficiali, giornalisti, scrittori, mandarini sindacali e tutto il partito comunista in blocco) è nata una solidarietà di classe le cui malefatte si riversano naturalmente sui lavoratori legati come servi alla macchina economica statale, che i burocrati per colmo di irrisione dichiarano organo della classe proletaria. Se i funzionari amministrano, i tecnici rappresentano i cosiddetti uomini di fiducia. La polizia ha l'incarico di salvaguardare la nuova proprietà e di mantenere il contegno dei cittadini nella “linea” politica stabilita dalle alte gerarchie. Giornalisti e scrittori hanno l'incarico d'ingannare “scientificamente” il gran pubblico. I mandarini sindacali son diventati dei funzionari posti nel bel mezzo dei lavoratori a saggiarne gli umori e ad ingannarli, cosi come sempre si fece nella organizzazioni gialle o rosee in tutti i paesi capitalisti del mondo.
Tra la burocrazia sindacale sovietica e quella americana inglese o francese non c'è molta differenza nel fine da raggiungere, mentre ce n'è una sostanziale nel fatto che mentre le burocrazie sindacali dei paesi capitalisti sono al servizio della borghesia, nello stato sovietico questa burocrazia è al servizio di uno stato burocratico, ossia di se stessa (Debbo doverosamente convenire che non sempre i funzionari sindacali furono al servizio della borghesia. Lottarono spesso contro di essa ed aiutarono i lavoratori a migliorare il loro standard di vita. Più spesso però ubbidirono ai partiti e fecero l'interesse di queste botteghe, non quello dei lavoratori.). Il partito comunista russo, dove oramai i lavoratori non sono quasi più presenti e che è diventato preda dei burocrati, rappresenta il cane da guardia che tiene in ordine le pecore è Stalin è il grande pastore che col bastone sulle spalle e la bisaccia a tracolla aizza le sue bestiacce. Se qualche pecora fa uno scherzo, il cane abbaia e Stalin lascia andare una randellata. Tutto il resto del gregge ne prende atto, impara a temere sempre più il cane da guardia e vole al “gran pastore” i suoi tremuli belati. Il proletario non ha il diritto d'andare a lavorare in quelle aziende che gli vengono ancora derisoriamente dichiarate di sua proprietà, ma dove non ha la minima funzione direttiva e solo può sudare copiosamente, pungolato da sistemi che oltre non avere nulla di socialista sono ancora peggiori in voga nei deprecati paesi capitalisti. Come si vede da questo piccolo quadro, che non è di nostra invenzione, ma rappresneta il ricavato dalle relazioni di quegli “specialisti” della questione con i quali discuteremo più avanti, il socialismo non c'entra proprio per nulla in questa società. Tutti sono d'accordo su questo punto, esclusi naturalmente Stalin e la burocrazia sovietica. Il grande argomento di Trotzky e compagni, nonché di tutte le sette rivoluzionarie anticomuniste, è che la proprietà dei mezzi di produzione risulta collettiva e l'economia pianificata. Per Trotzky, nonostante tutto il resto, lo stato sovietico permane operaio e la dittatura del proletariato è ancora in vigore. Discuteremo più avanti questa questione; per ora vogliamo solo ricavare con il buon senso la natura dello stato sovietico; alle disquisizioni “scientifiche”, o pretese tali, passeremo poi. Per noi, dalla rivoluzione d'ottobre e dal suo rinculo, è uscita una nuova classe dirigente: la burocrazia.
La borghesia è liquidata e non ha più possibilità di ritorno. Il possesso dello stato dà alla burocrazia la proprietà dei mezzi di produzione che è collettiva e non più privata appartiene in toto alla nuova classe dirigente. Va da se che la nuova classe si guarda bene dal dichiarare ufficialmente la sua proprietà, ma negli effetti tiene tutte le leve economiche e politiche nelle mani e le fa custodire dalla Ghepeù e dalle baionette dell'esercito “purificato”. Non in modo metaforico soltanto, ogni azienda ha il suo reparto di Ghepeù che monta la guardia, ma nelle grandi imprese entra persino in campo il soldato regolare dell'esercito con tanto di baionetta in canna. Guarda chi entra, esamina i documenti e segue passo passo il visitatore anche se si guarda di un personaggio col quale si dovrebbero usare tutti i riguardi come per il tradeuniunista Walter Citrine. Lo stato sovietico anziché socializzarsi si burocratizza, ossia, invece di scomparire lentamente nella società senza classi si gonfia in modo spaventoso. Già quindici milioni di individui si sono appiccicati al tronco statale e ne succhiano la linfa. Lo sfruttamento avviene in blocco conformemente alla trasformazione della proprietà: la classe burocratica sfrutta quella operai alla quale fissa lo standard di vita con le paghe e con i prezzi di vendita dei prodotti nei magazzini di stato. La nuova classe dominante ha asservito in blocco il proletariato. Ai lavoratori non resta più neanche la libera offerta della loro “forza-lavoro” ai diversi imprenditori: la burocrazia è monopolizzatrice, ha perfezionato il sistema di sfruttamento.
I proletari russi sono caduti dalla padella nella brace. Dal punto di vista sociale questa nuova forma rivolge l'insostenibile antagonismo che rendeva incapace ogni progresso la società capitalista. Quivi la forma di produzione è da tempo collettiva poiché alla produzione di una qualsiasi merce in modo diretto od indiretto tutto il mondo vi concorre, mentre l'appropriazione delle merci risulta individuale in conseguenza appunto del mantenimento della proprietà privata. Con la trasformazione della proprietà privata in collettiva posta effettivamente sotto la direzione di una società che agisce come un tutto armonico di un'unica direzione l'antagonismo di produzione della società capitalista viene risolto e un nuovo sistema vi si costituisce. Ai suoi inizi è ferocemente sfruttatore come del resto lo fu il capitalismo stesso, ma è possibile che con l'affermarsi ed il perfezionarsi del sistema ed il conseguente aumento di produzione sia data la possibilità alla classe dirigente distribuire una piu larga razione di prodotti ai suoi sfruttati. In un ambiente internazionale normale, lo sviluppo della produzione su basi collettivistiche, anche con direzione burocratica, dovrebbe essere una cosa certa poiché verrebbero eliminate o per lo meno molto ridotte le enormi spese che oggi si fanno ovunque per la preparazione bellica. Ci si arma continuamente, non si fa che trasformare gli stati di organismi fondamentalmente militari e questa enorme dilapidazione del lavoro può neutralizzare e rendere negativo l'impulso che la produzione riceve innegabilmente in seguito alla trasformazione della proprietà da privata in collettiva e della organizzazione economica su di un piano prestabilito (D'accordo che oggi non ragioneremmo più in questo modo. In quel momento del nostro film di pensiero non avevamo ancora abbattuto il nostro famoso antagonismo insanabile del capitalismo formulato da Marx. Seguivamo costui e ci sembrava di documentarlo. Sbagliavamo come spiegammo ne Il socialismo dalla religione alla scienza, che incominciammo a scrivere proprio alla fine del La Bureaucratisation du Monde, quando ci avvedemmo con il collettivismo burocratico era un fenomeno socialmente regressivo e non progressivo).
Questo nuovo sistema sociale si rappresenta come un fenomeno storico parassitario nello sviluppo sociale. Logicamente il potere doveva passare dalla borghesia al proletariato, ma il fatto non è avvenuto. L'immaturità politica della classe operai ne è evidentemente la causa (Domando scusa ai lavoratori per questo passo. Essi dimostrano specialmente in Italia di essere più che maturi politicamente. Furono i capi che impedirono la presa del potere e, quando la rivoluzione fu vittoriosa, erano ancora i capi che dovevano insegnare come si lavorare socialisticamente. Non lo poté fare neanche Lenin ed è ampiamente scusato. Si trattava di risolvere un problema sociologico innanzitutto economico di prima grandezza: trovare prima ed applicare poi il rapporto di produzione socialista. Massacrando i marinai di Kronstradt e l'opposizione operaia, Lenin risolse politicamente la questione, mentre la rivoluzione marxista poteva scaturire proprio da quelli invitti che già la balbettavano. Si rinculò subito alla Nep ed il disastro si dimostrò talmente grande agli occhi di Lenin che offerse persino le celebri confessioni in Russia ai capitalisti del mondo. Costoro ricusarono e si limitarono a fare la carità agli affamati. Giusto il ripiegamento sull'economia di mercato, ma l'aver occultato ai lavoratori il disastro economico del cosiddetto Comunismo di Guerra e la strage di Kronstradt, evitò quella discussione sul sistema economico socialista che l'opposizione operai preannunciava ed in mancanza della quale uno Stalin qualsiasi poteva più tardi procedere nuovamente ad abolire il mercato e ad imporre l'autarchia a mezzo di un diluvio senza esempi nella storia. Troppo politico e troppo poco marxista. Lenin qui non ci rese un bel servizio.). Negli effetti si passa ad una direzione sociale che non è ne borghese, ne proletaria. La figura del capitalismo è diventata inutile nel fenomeno della grande produzione e viene automaticamente scartata. L'ex funzionario travet della borghesia assume una veste nuova alleandosi alla burocrazia sindacale ed a quella dello stato totalitario: una nuova classe sale all'orizzonte. Solo il prossimo avvenire potrà dire se questa nuova classe che fa capolino nel mondo sarà capace di appianare tutte le divergenze politiche lasciate dall'imperialismo per riuscire poi con la nuova organizzazione economia a maggiore il volume della produzione stessa e ad elevare lo standard di vita delle masse. È qui che si farà la sua virtude. Anche i sintomi politici concordano con l'incipiente burocratizzazione del mondo. Monaco rappresenta un primo coagulamento della coscienza burocratica. Capitalisti e rappresentanti di nuovi regimi, dopo essersi vicendevolmente spinti fino al margine dell'abisso, si sono improvvisamente intesi, spronati forse dalla subcoscienza del prossimo divenire sociale. I vecchi imperialismi francese, inglese ed americano si rendono contro dell'inutilità e dell'impossibilità di mantenere un egemonia in un mondo che non può essere imperialista se vuol sopravvivere e che si trasforma burocraticamente a vista d'occhio. Per non svegliare i cani che dormono le vecchie democrazie recitano una politica antifascista (L'antifascismo dei capitalisti era invece diventato reale almeno sul piano internazionale, ma noi marxisti rivoluzionari mettevamo ancora in prima linea l'antagonismo proletari-capitalista, mentre il proletariato era già stato tolto di mezzo in occidente ed in oriente). Devono tener tranquilli i proletari intanto che la trasformazione sociale avviene di soppiatto nei loro paesi e nel contempo danno da mangiare alle masse operaie dell'antifascismo al mattino, a pranzo ed a cena. Resta loro comodo intanto che la Spagna si trasformi in un macello proletario internazionale tanto per calmare le arie rivoluzionarie dei lavoratori e per smaltire i prodotti della loro industria pesante. In Cina i proletari vengono spinti ad una politica antigiapponese proprio sotto la guida di quel Ciang Kai Shek che ha ancora le mani lorde di sangue di fior fiore dei proletari cinesi. Manco a dirlo le masse lavoratrici bevono anche questa volta e seguono supine, quasi rassegnate. Poco alla volta i lavoratori di Francia, Inghilterra e d'America non si troveranno più normali cittadini, ma “sudditi” di un regime burocratico che “nazionalizzerà” la proprietà e prenderà tante altre misure ad impronta “socialista”. Non si chiamerà fascismo o nazismo o stalinismo, avrà certamente un altro nome, ma il fondo sarà sempre lo stesso: proprietà collettiva nella mani dello stato, burocrazia come classe dirigente, organizzazione collettiva e pianificata della produzione, sfruttamento che passa dal dominio dell'uomo a quello della classe.
A questo punto il marxista Trotzky griderà a squarciagola che le condizioni non solo di distribuzione, ma di produzione non sono socialiste, contrariamente a quanto rileva per l'URSS, e passerà quindi alla propaganda rivoluzionaria contro la burocrazia mondiale. Il fatto dell'affermarsi di questa burocrazia rappresenta, nei suoi concetti, “una possibilità storica e non un fatto compiuto”. Per dargli modo quindi di dedurre la sua analisi dobbiamo attendere che il fatto sia compiuto. In seguito ci si dovrà rivolgere al proletariato che si troverà già sotto la tutela dei governi burocratici ed è da immaginarsi con quale successo. La sua disamina sarà certamente scientifica e marxista al cento per cento, ma arriverà tardi e non quando si profilavano le possibilità; potrà convincere anche gli stessi dirigenti burocrati che per tutta risposta gli mostreranno il motto fascista: “me ne frego”.
Il fatto compiuto esiste in Russia e bisogna sviscerarlo. Sta compiendosi, ed è visibile, sia in Italia, sia in Germania. I primi sintomi del fatto affiorarono ovunque anche nei paesi della grandi democrazie. A Trotzky, e proprio a lui, restava ancora una carta da giocare, ma tutto dimostra che non ne abbia voglia alcuna. La sua grande figura scende lentamente in un tramonto grigio: offusca il ricordo di un meriggio che è stato pieno di sole. Joffe prima di suicidarsi gli aveva scritto una lettera raccomandandogli di non temere l'isolamento pur mantenere intatta la linea leninista. A noi sembra che Trotzky abbia seguito in un modo troppo meccanico questo consiglio, non certamente alla maniera di Lenin. Al momento della scissione del partito socia-democratico russo, quando Plekanov era stato gettato dalla finestra, Lenin pregò ripetutamente Trotzky di restare con lui. Non ci riuscì. Ma quando Leone Trotzky ritornò a Pietroburgo nel 1917 e riconobbe di essersi sbagliato, Lenin lo accolse tra le file dei bolscevichi poiché comprendeva che un errore politico non significava un tradimento.. Trotzky invece rompe meccanicamente i ponti con tutti coloro che non la pensano esattamente come lui ed ha ammaestrato una scuola di giovani che con gli stessi sistemi seguono la “linea”. Il Danton della Rivoluzione d'Ottobre non pensa un minuto di potersi sbagliare. È troppo sicuro di se stesso; ciò è bene fino a un certo punto, ma porta alla disgrazia quando il ragionamento deve ricorrere alla demagogia, al sofisma ed alla boutade. Ciò significa che non si è più abbastanza sicuri sulle proprie gambe e dovrebbe consigliare di prendere in considerazione le ragioni altrui ed a non aver paura nel riconoscere il proprio errore poiché qualsiasi altra soluzione porterà a risultati ben peggiori.
Concludendo, per noi l'URSS rappresenta un nuovo tipo di società diretta da una nuova classe. La proprietà è collettivizzata ed appartiene a questa classe che ha organizzato un nuovo sistema di produzione. Lo sfruttamento passa dal dominio del singolo a quello della classe. Tutte le lotte politiche svoltesi nell'URSS dal 1923 in poi furono lotte della nuova classe in formazione contro il proletariato anche se dapprima furono combattute nell'incoscienza. La strage che dalla morte di Kirov delizia l'Unione Sovietica con la soppressione della vecchia guardia leninista e di tutti coloro che potevano dare ombra al dominio della burocrazia, non è che la necessaria guerra civile della nuova classe che vuole affermare il suo dominio. Non si tratta di un segno di debolezza, ma di una dimostrazione della sua forza. Da tempo l'URSS ha abbandonata ogni velleità rivoluzionaria ed è caduta prona ai piedi della borghesia franco-inglese (Esagerato il solito rivoluzionario, ma effettivamente l'URSS faceva una gran corte alle democrazie capitaliste e non esitò a tradire il proletariato spagnolo). I capitalisti si sono talmente convinti che di rivoluzione e di socialismo in Russia oggi non esiste se non una mascherata per i gonzi, ed hanno invitato ed accettato l'Unione Sovietica persino nel loro santuario di Ginevra. A casa loro continuano a protestare contro le mene rivoluzionarie del Komintern, ma è solo per ingannare meglio i proletari. Quello che conta sono i fatti, e questi dicono che oramai da svariati anni l'URSS è stata agganciata al treno borghese dei capitalismo arrivati. Parigi, Londra e New York, hanno manifestamente riconosciuto uno stato sfruttatore ed oppressore dei lavoratori nella cosiddetta repubblica sovietica. Nonostante questa reale situazione politica e sociale nel paese di Stalin, Leone Trotzky ed i suoi discepoli pretendono che l'URSS rappresenti ancora uno stato operaio in regime di dittatura proletaria. Costoro, assieme alla altre correnti che dissentono dalla politica della Terza Internazionale, sono i soli che si interessino nello loro discussioni, anche se in modo indiretto, alla natura dello stato sovietico. Scenderemo in polemica con essi appunto, perché è qui che abbiamo consolidato il nostro giudizio sulla natura della repubblica sovietica.
Tra i fuggiti e gli esiliati dalla Terza Internazionale regna una discordia sovrana cosi come nel campo del leggendario cavaliere. Trotzky non risponde neanche più ai suoi contraddittori ultra-sinistri, poiché, come egli dice, “sostituiscono l'analisi scientifica con dei glappissements percants (strilla acute). Le scissioni le esclusioni le fins de non recevoir, l'ordine di mantenere le discussioni nella “linea” prestabilita, non servono però a soffocare la questione. Essa fa sempre capolino anche se la cerchia dei membri va restringendosi ed agisce in giusa d'un'accetta che si abbatte periodicamente sul trono della Quarta Internazionale, sfaldandolo ancora che si sia irrobustito. Trotzky risponde ai compagni B. E. C. non meglio identificati con un articolo che si intitola: “Uno stato, ne operai ne borghese”. La risposta è oziosa per un marxista che segue supino il pensiero del maestro: lo stato borghese deve essere travolto dalla rivoluzione e sostituito da quello operaio. Non c'è altra via per la storia. È un fatto che Marx ha sempre detto, come ha detto parecchie altre cose che non si sono avverate. Noi non siamo qui per fargliene gran colpa, crediamo invece che il suo merito massimo risieda nell'aver insegnato a pensare sui fatti sociali e nell'aver fornito allo studioso un mezzo formidabile per l'interpretazione storico. A noi sembra che i marxisti dovrebbero esaminare i fatti contingenti alla luce del metodo marxista e non ridursi a controllare se detti fatti trovino il loro corrispondente incasellato nel catalogo delle previsioni del grande pensatore o dei suoi discepoli. Così facendo, ed il sistema è inveterato, si trasformano in altrettanti gesuiti che si trovano a corto di ragionamenti e v'inondano con citazioni di questo o quel santo pur di controbattere il vostro parere. Se si osa rispondere che quei “beati” potevano anche sbagliarsi, il gesuita va in escandescenze e vi dice tout court che vi mettete in dubbio le divinazioni dei santi ed allora è perfettamente inutile prolungare la discussione. Non siete cattolico, appartenete ai dannati e dannato è il vostro pensiero privo della grazia divina.
Marx è stato certo qual modo santificato e se vi accade di giungere con il ragionamento a conclusioni diverse dalle previsioni dell'ebreo di Treviri, anche se nella ricerca sui fatti sociali odierni vi siete valso del metodo d'indagine marxista, il vostro posto è tra i perduti. I compagni B. E. C. sostengono che l'URSS ha cessato di essere uno stato operai “nel senso tradizionalmente dato a questo termine dal marxismo”. Negano che esso rappresenti, sia uno stato borghese, sia uno stato operaio, e noi ci domandiamo per inciso di quale sorta dio stato si tratti. Ammettono poi che la dominazione del proletariato non è, in primo luogo, una categoria economica, ma sopratutto una categoria politica... Tutte le forze, organi, istituzioni, della denominazione di classe del proletariato sono ora distrutte, cioè a dire la dominazione di classe del proletariato è distrutta. Molta confusione quindi nei concetti di B. E. C., confusione propria a quello stato mentale a cui quelle idee sono in via di formazione. Trotzky fa piazza pulita dichiarando che se la dittatura del proletariato è una categoria politica, la politica non è che l'economia concentrata e quindi “il regime che salvaguarda la proprietà espropriata e nazionalizzata contro l'imperialismo e, indipendentemente dalle sue forme politiche, la dittatura del proletariato”. Ciò, salvo che la burocrazia non rappresenti una classe cui risulti perfettamente confacente la proprietà espropriata è nazionalizzata aggiungiamo noi. E la natura di uno stato può essere forse giudicata sempre ed in qualsiasi momento indipendentemente dalle sue forme politiche? Quando uno stato si afferma sbaragliandone un altro forse che le forme di proprietà e i rapporti di produzione sono già totalmente cambiati? Non è proprio questo invece il compito della nuova classe dominante? Forse che il governo dal Terzo stato in Francia non resse più di alcuni anni su di un'economia in buona parte nobiliare? Evidentemente in questo periodo l'economia concentrata non può rappresentare la politica, ma questa è potenzialmente concentrata nella classe sociale che ha il programma nelle sue mani in via d'attuazione.
Trotzky stesso ammette che “durante i primi mesi del regime sovietico, il proletariato dominava sopra un economia borghese”. Questa ammissione non è certamente fatta per sostenere la nostra tesi, ma allo stesso scopo di illustrare un caso di opposizione di classe tra la forma politica e la realtà economica onde potere concludere che “la concentrazione del potere nelle mani della burocrazia, anche se si nota l'arresto dello sviluppo delle forze produttive, non cambia la natura di classe della società e del suo stato”. Noi pensiamo che il punto essenziale sta nel vedere con qual scopo la proprietà espropriata e nazionalizzata è salvaguardata nella Russia sovietica contro l'imperialismo, ammesso e non concesso che l'imperialismo sia ancora una forza efficiente. Che ci assicura ancora che un qualsiasi invasore, imperialista o no, non trasformerebbe la forma di proprietà dell'URSS? Se è vero che nei primi mesi del regime sovietico il proletariato dominava sopra un economia borghese e se ora diversamente esiste un caso di opposizione tra l'economia e lo stato, e questa è una buona ragione per avvalorare che la tesi la dittatura del proletariato è ancora una realtà nel paese dei Soviet. L'opposizione inversa, infine non dovrebbe avere alcun valore. Strano modo di ragionare. Ma perché non è vero proprio il contrario? Ossia che se è esistito uno stato proletario con un economia borghese possa altresì esistere uno stato non proletario con un economia nazionalizzata? Forse solo perché non si è mai visto un fenomeno del genere o perché Marx non l'ha preveduto? A noi sembra che la nostra tesi sia più logica, giacché tutti gli altri fattori che servono a caratterizzate l'essenza di uno stato vennero rovesciati nel paese di Stalin. Neanche per sogno pensavo Trotzky, anche la seconda ed inversa posizione deve aiutare a comprovare la sua tesi. (Notiamo bene che questa seconda opposizione non dovrebbe essersi verificata in un regime tendente al socialismo, mentre la prima è comprensibile e chiara).
Se tutti sono d'accordo che anche senza una proprietà nazionalizzata, nei primi mesi dopo la Rivoluzione d'Ottobre, la dittatura del proletariato era un fatto vero e reale, ciò significa che la dittatura del proletariato è in primo luogo una questione di forme politiche e non economiche almeno nella fase di transizione dall'economia borghese a quella socialista. Per quanto noi sappiamo, la dittatura proletaria è la forma politica della classe operai in questa fase, durante la sua costruzione sociale, ma quando cessano i suoi risultati peculiari e specifici, è logico pensare che essa stessa ha cessato di vivere. Fino al giorno in cui dovrebbe scomparire nel socialismo raggiunto, i fattori politici avranno da dire la loro parola nella classificazione della qualità del potere. Così come è vero e da tutti ammesso che anche con la nazionalizzazione della proprietà il socialismo nell'URSS non è un fatto compiuto, altrettanto sembra a noi evidente che la nazionalizzazione della proprietà e l'economia pianificata non sono ragioni sufficienti per dimostrare l'esistenza della dittatura del proletaria. Per dirla col signor de La Palisse, bisogna anche che il proletariato abbia il potere nelle mani e questa condizione è talmente importante che se noi abbiamo visto una dittatura proletaria vera e reale, benché l'economia fosse borghese, un caso contrario non è ancora apparso nella storia e l'URSS di oggi è ben lungi del farci convinti. Necessariamente si deve trattare di una forma di società che non è né capitalista, né socialista e di uno stato che non è né operaio, né borghese. Pensiamo ancora che una dittatura del proletariato, dopo realizzata la nazionalizzazione della proprietà, deve proseguire nel programma socialista, mentre tutti escludono, Trotzky in prima fila, che questa strada sia ulteriormente battuta nel paese dei soviet. E di quale dittatura del proletariato ci parla dunque? Di quella che ha ingrandito lo stato a proporzioni inaudite? Di quella dittatura che fa tabula rasa dei rivoluzionari? Che organizza con gli assassini ed i venduti il sabotaggio della rivoluzione proletaria nel mondo? È forse quella che passa ad una differenziazione sempre più marcata delle classi?
L'URSS non risponde alla norme dello stato operaio che noi abbiamo sviluppate nel nostro programma. “La storia ci presenta un processo di degenerazioni dello stato operaio”, dice Trotzky. Ma che cosa ci resta dunque, dopo questa degenerazione, dello stato operaio e della dittatura del proletariato? “La nazionalizzazione della proprietà e la pianificazione dell'economia” risponde Trotzky. Verissimo, ma con quale scopo? Forse per la realizzazione del socialismo? No, evidentemente; Trotzky stesso lo nega. E allora? Allora se proprietà nazionalizzata ed economia pianificata permangono , ciò avviene perché sono entrambe confacenti al regime che tiene il potere nella mani. Infatti la burocrazia sovietica non ha alcuna ragione per eliminare queste innovazioni della Rivoluzione d'Ottobre; al contrario, ne ha di politiche e sociali per mantenerle. Dl punto di vista sociale essa non può andare contro corrente, contro lo sviluppo della produzione. Anche gli stessi stati borghesi passano ogni giorno vieppiù alle nazionalizzazioni delle proprietà ed alla pianificazione dell'economia. Scalzano nel contempo il sacro canone della proprietà privata; e forse che là dove questo lavoro è già stato compiuto lo si dovrebbe distruggere?
Non fosse che per questo, una nuova trasformazione della proprietà in Russia non è da temersi. Tutti i fatti provano che la dominazione burocratica nel fu paese dei soviet è effettiva. Ciò da così lungo tempo che una netta differenziazione di classe è acquisita; tutti gli atti politici e sociali sono propri di una classe dominante che ha la preoccupazione di mantenere ed affermare il suo potere; ebbene, secondo Trotzky non è scientifico pensare che la burocrazia sovietica, monopolizzatrice dello stato, posso rappresentare una nuova classe. “Non si tratta di una nuova borghesia” ci vien detto, oppure “essa non lo è ancora”, ed allora non si tratterebbe di una classe, ma di un “commesso”. Benché la tradizione anche domestica c'insegni che molti commessi finiscono per diventar padroni, nel campo di Agramante non si riesce a concepire una nuova classe al di fuori del proletariato e della borghesia anche se questa è morta e sepolta e l'altro viene normalmente fustigato da un nuovo padrone. Deve per forza trattarsi di un semplice commesso, quasi di un normale burocrate che nel caso dell'URSS diverrebbe il servitore dell'imperialismo mondiale.
Noi non pensiamo che il marxismo possa condurre a simili nonsensi. L'unilateralismo è sempre stato un vizio dei marxisti anche se il fondo della dottrina del loro maestro è universale. Marx non poteva prevedere l'evento dello stato totalitario con la dominazione dapprima di una clique, poi di uno strato sociale che doveva in seguito affermarsi definitivamente in una classe; ma i fatti sono qui da esaminare e le idee non cascano dal cielo. Anche nel campo di Agramante queste idee fioccano a rare e larghe falde come prodromi di un'imminente nevicata. Quei marxisti che pretendono l'ortodossia non si accontentano di esaminare i fatti; marxisticamente essi indagano quello che ci sta sotto. Scoprono che chi ragiona come noi è vittima di un'illusione ottica, mentre nella realtà sono essi che capovolgono il mondo come i filosofi idealisti d'un tempo. Servono ogni piatto del loro sapere con contorno di dialettica marxista, che noi riteniamo in buona parte fondata sulla lotta di classe, ma neanche si accorgono che una nuova classe sta cristallizzandosi nel mondo. Per spiegare quello che ora accade nel paese dei soviet, volendo disconoscere e ignorare la classe burocratica al potere, ecco che cosa dice Trotzky: “Si può dire con piena ragione che il proletariato dominante in un solo paese arretrato ed isolato resta malgrado tutto una classe oppressa.
L'origine dell'oppressione è l'imperialismo mondiale: il meccanismo di trasmissione dell'oppressione è la burocrazia”. La mente è l'arte di Trotzky sanno dare realtà anche alle tesi più strampalate ed un osservatore superficiale è facilmente attratto dal fascino di questo grande ragionatore. Comunque, noi non ci commuoviamo; è un fatto che se il proletariato internazionale avesse vinto, noi avremmo ora una repubblica sovietica mondiale che si svilupperebbe nella direzione socialista. Fino ad un certo punto possiamo quindi sostenere anche noi che l'origine dell'oppressione proviene dall'imperialismo, ma la questione più importante è quella di stabilire se la burocrazia sovietica altro non rappresenti se non il meccanismo di trasmissione. L'URSS assediata dal capitalismo è passata ad una degenerazione sempre più profonda mentre il meccanismo di questo processo si è concretizzato nella burocrazia sovietica, ma qual'è il prodotto sociale di questo rinculo? Non è forse rappresentato dall'onnipotenza del “meccanismo di trasmissione”? Non si tratta forse della defenestrazione del potere proletario per lasciare il posto al così detto agente dell'imperialismo? È ancora concepibile che questo valletto di un pretesto imperialismo difenda le conquiste della Rivoluzione d'Ottobre?
Al contrario noi pensiamo che dovrebbe ubbidire al nuovo padrone e fare un funerale di terza classe alle conquiste rivoluzionarie. Lo vediamo infatti svuotare i soviet del loro contenuto di classe, incatenare il proletariato, distruggere fisicamente i marxisti e fare delle distinzioni tra gli imperialismi per entrare nella congrega di quelli che sono arrivati. Lo vediamo quindi recitare le parti che gli vengono suggerite nell'arena internazionale, non già per reintrodurre il capitalismo a casa proprio, ma in cambio della protezione che riceve per il suo attuale regime di servaggio statale. Se diventa patriota è solo per delle ragioni di conservazione. Trotzky non nega questi fatti, ma aggiunge che il regime sovietico mantiene la proprietà nazionalizzata e la difende. Fintanto che la contraddizione non è passata dal dominio della ripartizione al dominio della produzione, lo stato resta operaio”. Per Trotzky e per tutti i marxisti è inconcepibile pensare ad una società che non sia borghese o socialista. Una nuova forma sociale che organizzi la produzione su di una proprietà nazionalizzata ed un'economia pianificata non può essere altro che socialista, anche se nel campo della distribuzione le direttive sono antisocialiste.
Per conto nostro il proletariato in Russia non ha che cambiato di padrone dopo un breve periodo di potere. Lo stato burocratico odierno mantiene le forme di proprietà collettiva e di economia pianificata solo perché sono conformi alla sua natura. Queste nuove forme economiche sbocciano ovunque sulla terra e primieramente nei paesi capitalistici deboli, meno resistenti alla morte generale del capitalismo. Se quest'ultimo ha esaurito il suo compito storico e la rivoluzione proletaria non ha ottenuto la vittoria, bisognerà bene che il mondo continui il suo sviluppo in una forma sociale anche se non era stata prevista da Marx e se non viene rilevata dai signori marxisti. Quel tale “commesso” che secondo Trotzky è il meccanismo di trasmissione dell'imperialismo, dominava in Russia già oltre vent'anni e dirige una paese che è un sesto della terra emersa con una popolazione di 180 milioni di abitanti. Evidentemente il “commesso” ha delle proporzioni inquietanti, di gran lunga maggiori di parecchi dei suoi stessi “padroni”. Una dominazione di questo genere ha bisogno di uno staff che nella scala nazionale per noi rappresenta una classe. Per renderla più forte la si spinge in tutti i domini sociali e là dove trova della resistenza passa sopra montagne di cadaveri. Il regime burocratico nell'URSS ha sacrificato dapprima il partito comunista e la III Internazionale, poi l'esercito rosso. Compiti di questa ampiezza non possono essere compiuti da cliques, staff o “commessi”, ma solo da classi.
Dato che Trotzky conferisce un valore incommensurabile al fatto che la contraddizione non è passata al dominio della ripartizione a quello della produzione, vi è il fatto di pensare che egli concepisca la produzione sovietica come di marca socialista. Ci sembrava che questa volta ci sia ancora un'illusione ottica che non è dalla nostra parte. Per il solo fatto che la proprietà è nazionalizzata e l'economia pianificata, si pensa che la produzione sia di una qualità sufficientemente socialista onde assicurarci il permanere dello “stato operaio”. In realtà tutto il sistema di produzione resta collettivo come nella organizzazione delle grandi imprese capitaliste, mentre la proprietà passa dalla forma privata a quella collettiva. Ne viene quindi che se le caratteristiche economiche sono le sole determinanti della natura dello stato per quanto riguarda la Russia, noi siamo ridotti alle nazionalizzazioni e ai piani statali. Resta da vedere che cosa rappresenti effettivamente la nazionalizzazione della proprietà dell'URSS e qui anche noi, senza avere la pretesa di essere marxisti ortodossi, ci permettiamo di esaminare il disotto dei fatti. Certamente essa è stata la prima misura rivoluzionaria decretata dalla classe operaia al potere nel fine della costruzione socialista, ma questa si è arrestata con la degenerazione staliniana ed è logico indagare cosa sia socialmente diventata quella nazionalizzazione che doveva concludersi in una socializzazione della proprietà. In un modo semplicista ci si dici che la proprietà è “nazionalizzata”. È ben poco per dei marxisti scientifici. Chi la dirige? Non certamente il proletariato, ma bensì la burocrazia sovietica.
Tutti sono d'accordo su questo punto nel campo di Agramante, e Trotzky aggiunge che la ripartizione dei prodotti viene fatta in modo che la burocrazia si taglia la parte del leone. Noi ci domandiamo quale sorta di proprietà “nazionalizzata” sia questa, diretta in modo esclusivo da una classe che s'impossessa poi dei prodotti in modo altrettanto sfacciato di quello usato dalla vecchia borghesia. Negli effetti esiste in Russia una classe sfruttatrice che tiene in mano i mezzi di produzione e si, contiene esattamente come una proprietaria di questi. Il suo possesso non è frazionato tra i suoi componenti ma, quest'ultimi, in blocco, come classe, sono i reali possessori di tutta la proprietà “nazionalizzata”. Sembra che la proprietà dopo esser stata di tutti, quasi inesistente per gli uomini dell'epoca selvaggia ed esser passata poi alle comunità per trasformarsi quindi in proprietà privata, rappresenti ora una forma collettiva nella veste di proprietà di classe. La classe sfruttatrice in Russia è diventata proprietaria ed ha concretizzato la sua assenza giuridico-sociale. Per sfuggire all'assalto dei lavoratori essa li incanta con la “nazionalizzazione” della proprietà, come se ciò rappresentasse negli effetti una proprietà di tutti. Ciononostante essa ha paura e non può sviluppare il suo lavoro in un ambiente democratico; è almeno momentaneamente, condannata a costruire uno stato poliziesco.
Le forme di proprietà devono mettersi al passo con il sistema di produzione e se la classe sfruttata non è all'altezza del suo compito storico, dal dissolvimento della classe dominante esce una nuova classe, chiamiamola storicamente parassita, che nello stato poliziesco forse manifesta la condanna della storia. La contraddizione tra il modo di produzione e la forma della proprietà, proprie della società capitalista, viene quindi a essere risolta nell'URSS anche senza il raggiungimento del socialismo e l'elevarsi del proletariato a classe dominante. Lo sfruttamento resta e passa soltanto dal dominio dell'uomo a quello della classe sulla classe. Lo sfruttamento umano sotto la spinta dell'ineluttabile sviluppo economico ha assunto una nuova forma. La proprietà da privata è diventata collettiva, ma di classe; in modo diverso noi non sapremmo definire questa proprietà “nazionale” che non è di tutti, questa proprietà che non è né borghese, né proletaria, che non è privata, ma che non è neanche socialista (Prime intuizioni del fenomeno regressivo). Trotzky non riesce a concepire la nuova classe sfruttatrice in Russia, non riesce a concepire la progressività polverizzazione della borghesia nel mondo, non intravede la determinazione sempre più rimarchevole della proprietà di classe non solo in Russia ma anche nei paesi totalitari. Concepisce il mondo “come società borghese in disfacimento (pourissant)”. Ben poca cosa per un marxista che pretende l'analisi scientifica. Da Mussolini a Labriola, da Tardieu a Wallace, tutta la letteratura di questo quarto di secolo non è che un'accusa e un sarcasmo indirizzati alla vecchia società borghese. Il de profundis è stato cantato al capitalismo in tutte le lingue. A noi sembra che il compito dei marxisti “scientifici”, depositari della dialettica della lotta di classe non sia quello di svignarsela con una definizione banale, ma consiste precisamente nel vedere qual'è il momento di classi che si avvera in quest'epoca della fine del capitalismo, e di fissare, oltre le nuove forme di proprietà, i nuovi rapporti sociali. Vediamo così che il celebre “plus-valore” non è scomparso neanche in questo stato rebus che è l'Unione Sovietica, sulla quale cosa sono tutti d'accordo. Le discordanze sopravvengono quando si tratta di individuare dove va a finire. Va forse alla borghesia inesistente? No. Va forse agli operai? Neppure, poiché allora si avrebbe il fatto che il socialismo è in costruzione in un solo paese e precisamente in quello della “grande menzogna”. Dobbiamo forse pensare che il plus-valore va allo “stato operaio”? Per le ragioni sopra dette sarebbe il trionfo dello stalinismo di cui Trotzky è il primo nemico e se qualcuno volesse pretendere che il plus-valore è scomparso nel paese dei soviet, bisognerebbe dedurne che anche la forza-lavoro non è più comperata ed allora il socialismo sarebbe un fatto contro ogni evidenza.
In realtà non vi è che una risposta possibile ed ammissibile: il plusvalore passa alla nuova classe sfruttatrice: alla burocrazia in blocco. Quando si ammette che la società è in via di decomposizione, già significa che essa sta perdendo le sue caratteristiche economiche; ciò precisa che le caratteristiche peculiari della classe dominante scompaiano e la società diviene un'altra. Il fenomeno è compiuto nel cosiddetto stato sovietico e si trova in via di formazione ovunque nel mondo. Nella proprietà di classe che è in Russia è un fatto acquisito non risulta certamente registrato presso alcun notaio o in nessun catasto, ma la nuova classe sfruttatrice non ha bisogno di queste bagatelle, essa ha la forza dello stato nelle mani e ciò vale più che le vecchie registrazioni giuridiche della borghesia. Essa salvaguarda la sua proprietà con le mitragliatrici del suo apparecchio d'oppressione onnipotente e non con documenti notarili.
Se per il fascismo, coi suoi concetti di collaborazione di classe e di stato al di sopra delle classi è sostenibile la tesi della proprietà nazionalizzata, noi non comprendiamo come dei marxisti anche se scientifici, se la possono cavare su questo punto. Per Marx e Lenin lo stato è l'organo di oppressione della classe dominante; finché esiste lo stato permangono le classi; e la proprietà sotto l'egida dello stato è negli effetti gestita dalla classe dominante a mezzo del suo apparato di dominio. Marxisticamente parlando, il concetto di proprietà nazionalizzata non ha senso, è antiscientifico e antimarxista. Per Marx la proprietà privata doveva divenire socialista e come tale intendeva, almeno in forma potenziale, anche nel periodo della dittatura del proletariato. Seguendo la teoria marxista, dietro lo stato c'è sempre la classe e se non fu prevista la possibilità di una forma intermedia di proprietà (la proprietà di classe), ciò dipende quasi certamente dal calcolo errato di una rapida scomparsa delle classi dopo che il proletariato avrebbe preso il potere.
In realtà, anche durante la dittatura del proletariato, la proprietà assume il carattere di classe, appartiene ed è gestita dai burocrati, solo potenzialmente manifesta il suo carattere socialista. Che se poi la proprietà viene nazionalizzata in un regime non proletario, perde anche il suo carattere potenziale di proprietà socialista per restare unicamente proprietà di classe. Nel caso l'URSS, stato ove la borghesia ha un peso sociale trascurabile, se l'organizzazione statale permane, ciò significa che almeno due classi devono essere ancora in vita ed efficienti. Se il buon senso si rifiuta di ritenere i lavoratori sovietici proprietari dei mezzi di produzione, è logico pensare che la proprietà di questi appartenga effettivamente alla burocrazia. Altro che “commesso”: si tratta di un proprietario ben definito. Molto probabilmente il fatto che non sia stata prevista una forma transitoria di proprietà tra quella privata e quella socialista sta alla base non solo della discordia nel campo di Agramante, ma anche della confusione politica ancora regnante nel mondo ove si valuta per socialismo o capitalismo l'operato di Stalin, Mussolini o Hitler, mentre in realtà si tratta di collettivismo burocratico.
Nel campo di Agramante si fanno degli sforzi terribili per parare a queste logiche deduzioni. Il luogotenente Naville richiesto “di quale differenza si tratti la proprietà privata e la proprietà collettiva” se solo una ierocrazia può approfittarne di questa, risponde non esservi che una differenza di grado tra la proprietà privata capitalista e la gigantesca proprietà “privata” della burocrazia. Mirabolante trovata. La proprietà di svariati milioni di cittadini concepiti nel loro complesso sociale resterebbe ancora privata. Ma ci sa dire allora questo marxista scientifico che cosa intende per proprietà collettiva? E perché non resterebbe privata anche la proprietà di una società socialista, se è questione di grado soltanto? Forse che questo Solone scambia la società umana con una società per azioni? Le società umane vanno considerate in sintesi e non in somme. La proprietà privata è e resta tale, finché con lo statizzarsi continuo non cambia le sue caratteristiche. La legge dialettica di Hegel della trasformazione della quantità in qualità vale per la proprietà. La prima cristallizzazione della proprietà collettiva si identifica con la proprietà di classe anche se sotto l'egida del proletariato. Che i marxisti non l'abbiano previsto e non lo vedano, è un altro affare. Se per Naville resta privata la proprietà delle statizzazioni fasciste, anche se questo processo sta per sommergere tutto il capitalismo, non vediamo per quale ragione non si debba considerare come privata anche la proprietà della nazionalizzazioni sovietiche, dove il processo è completamente acquisito e la burocrazia ne è la grande beneficiaria.
Seguendo il suo ragionamento questa deduzione è logica anche se errata. In realtà la nazionalizzazione dei mezzi di produzione nell'URSS ha creato una forma di proprietà collettiva, ma di classe, che risolve l'antagonismo capitalista della produzione collettiva e dell'appropriazione privata. Noi non usiamo due pesi e due misure nell'esame dei fatti sociali ed affermiamo che anche il profondo travaglio economico degli stati totalitari con le nazionalizzazioni ed i piani economici porta alla risoluzione dello stesso antagonismo con la conseguenza sociale dell'apparizione della proprietà di classe, del dominio della burocrazia, del polverizzamento della borghesia e della trasformazione dei proletari in sudditi di stato. Riferendosi alla burocrazia in genere, Naville continua: “Che essa abbia o no dei titoli di proprietà, ed essa non ne ha, la burocrazia non può disporre (ripartire) liberamente né di un capitale accumulato, né del plusvalore prodotto. Non si tratta per essa che di una proprietà capitalista privata, anche su scala di monopoli statali”. E pare che la verità abbia proprio un senso contrario. La burocrazia sovietica in ispecie dispone di capitali accumulati e ripartisce il plusvalore. Trotzky arriva a dire: “Ciò che non era se non una deformazione burocratica si appresta ora a divorare lo stato operaio senza lasciar nulla e a formare sulle rovine della proprietà nazionalizzata una nuova classe possidente”. Ed aggiungiamo noi: chi dirige l'economia? Chi appresta i piani quinquennali? Chi fissa i prezzi di vendita? Chi decreta le opere pubbliche, gli impianti industriali ecc. se non la burocrazia sovietica? E se la proprietà non fosse a disposizione di questa, per chi dunque è a disposizione e chi è incaricato della ripartizione del plusvalore? Forse la sepolta borghesia zarista, l'imperialismo mondiale od il proletariato russo? Naville non ci dà spiegazione e continua: “Si tratta allora di una nuova forma di proprietà, dei rapporti stabiliti storicamente sulla base dell'appropriazione collettiva, ma a beneficio di una classe particolare, la burocrazia? In questo caso, bisognerebbe ammettere che la burocrazia gioisce del sistema come una classe capitalista, poiché si approprierebbe del plusvalore come un'impresa capitalista”. Si, perbacco, proprio si tratta di questo, ma bisogna ammettere che la burocrazia gioisce del sistema della società divisa in classi, non già come classe capitalista, ma burocratica, e che si appropria del plusvalore non già come un'impresa capitalista, ma come una classe sfruttatrice. Al contrario, alla domanda che il Naville timidamente si pone egli risponde in questo modo: “La storia dimostra che il fenomeno della produzione e della appropriazione del plusvalore non è proprio limitato al capitalismo liberale o al monopolio privato. La rendita fondiaria e il plusvalore che esistevano all'epoca del feudalesimo hanno preso il loro senso con l'economia mercantile e poi con lo sviluppo industriale. Essi continuano ad esistere nell'URSS malgrado i dinieghi di Stalin, Bucharin e della loro scuola. Solo essi sono nazionalizzati; e la differenza essenziale è qui. Se si vuole chiarire la natura della società sovietica attuale, bisogna evitare gli errori anche da questa parte”. Messo al muro e nell'ineluttabile necessità di ammettere che il plusvalore “prende tutto il suo senso” anche nel collettivismo burocratico, il discepolo dei Trotzky gira poco scientificamente l'ostacolo e sottolinea la posizione ambigua, antimarxista e reazionaria, per cui rendita fondiaria e plusvalore verrebbero nazionalizzati nella società sovietica. Vi riscontra anche una differenza essenziale. Gli rispondevano con le parole del suo maestro che nella Rivoluzione Tradita cosi si esprimeva: “Non è contestabile che i marxisti, a cominciare da Marx stesso, abbiano impiegato relativamente allo stato operaio i termini di proprietà “statale”, “nazionale” o “socialista” come dei sinonimi. A delle grandi scale storiche questo modo di parlare non presenta degli inconvenienti. Ma esso diviene la sorgente di errori grossolani e di inganni perché si tratta delle prime tappe non ancora assicurate dell'evoluzione della nuova società isolata ed in ritardo dal punto di vista economico sui paesi capitalisti. La proprietà private, per divenire sociale, dove ineluttabilmente passare per la statalizzazione, cosi come il bruco, per divenire farfalla, deve passare per la crisalide. Ma la crisalide non è una farfalla. Delle miriadi di crisalidi periscono prima di trasformarsi in farfalle. La proprietà dello stato non diviene quella del “popolo intero” che nella misura della scomparsa dei privilegi e delle distinzioni sociali, fase in cui lo stato, per conseguenza, perde la sua ragione di essere. Detto altrimenti: la proprietà dello stato diviene socialista via via che cessa di essere proprietà di stato. Ma al contrario: più lo stato sovietico si eleva al di sopra del popolo, più duramente egli si oppone come dilapidatore guardiano della proprietà e più chiaramente egli testimonia contro il carattere socialista della proprietà statizzata”.
Non sembra quindi che, in seguito ad una cosiddetta nazionalizzazione della proprietà, la rendita fondiaria ed il plus-valore risultino effettivamente nazionalizzati ossia di tutto il popolo. Differenze essenziali non ne esistono se non quella per cui non è più la borghesia la classe sfruttatrice e che incassa il plus-valore, ma è la burocrazia che si è aggiudicata questo onore. Naville gioca sull'identità tra proprietà nazionalizzata e proprietà socialista il che non ci sembra né troppo scientifico, né troppo marxista. Era scusabile un tale errore ai tempi di Marx, ma non più ai discepoli ora che le previsioni del maestro, anche se non chiare, prendono sostanza sociale. Se si vuol appurare "la natura della società sovietica attuale” bisogna evitare degli errori anche da questa parte e sviscerare che cosa realmente rappresenta, socialmente e parlando, la proprietà nazionalizzata.
D'accordo che questo lavoro deve essere fatto in modo scientifico, marxista e così meglio aggrada ai cavalieri d'Agramante. Noi non pretendiamo di averlo compiuto, ma solamente abbozzato. Seguendo questa strada, anche l'avvento dello stato totalitario nel mondo risulterà un po' più chiaro a coloro che fin qui hanno dimostrata una totale incomprensione nei confronti del fascismo, ancora bollato quale salvatore e continuatore del capitalismo. In questi regimi una nuova classe dirigente in formazione dichiara che il capitale è al servizio dello stato. Fa seguire i fatti, fissa già in gran parte i prezzi delle merci ed i salari dei lavoratori, organizza su di un piano prestabilito l'economia nazionale. Evidentemente la proprietà dei mezzi di produzione non è così semplice ad individuarsi come quella dei mezzi di consumo. Questi ultimi sono di uso personale, ma gli altri sono più fissi delle montagne. No? c'è alcun proprietario, né alcuna classe, né alcuno stato che se li possa collocare sulle spalle e trascinarli dove meglio gli piace. Niente da meravigliarsi quindi se si avvertono momenti in cui è difficile determinarne la proprietà. Per conto nostro, nell'URSS i proprietari sono coloro che tengono la forza nelle mani: sono i burocrati. Sono coloro che dirigono l'economia così come era normale tra i borghesi. Sono coloro che si appropriano dei profitti come è regolare presso tutte le classi sfruttatrici. Sono coloro che fissano i salari ed i prezzi di vendita delle merci: i burocrati ancora una volta. . . Gli operai non hanno a che fare con la direzione sociale, tanto meno con gli incassi del plusvalore e tanto peggio allora per quanto riguarda la difesa di questa strana proprietà “nazionalizzata”. Gli operai russi sono ancora degli sfruttati ed i burocrati sono i loro sfruttatori. La proprietà nazionalizzata dalla Rivoluzione di Ottobre appartiene ora come un “tutto” alla classe che la dirige, la sfrutta e... la salvaguardia: essa è proprietà di classe. Col sistema di produzione collettivo, integratosi durante l'evoluzione capitalistica, la proprietà privata non poteva sfuggire alla collettivizzazione. La realtà è che la proprietà collettiva non si trova sotto la protezione della classe proletaria, ma bensì sotto quella di una nuova classe che nell'URSS rappresenta un fatto sociale oramai compiuto mentre negli stati totalitari è in via di formazione.
Se è vero che l'URSS si è fissata in una nuova forma sociale stabile, diversa dal capitalismo e dal socialismo e che al posto della vecchia borghesia è sopraggiunta un'altra classe dominante, ci spiegherete anche qual è la nuova forma di sfruttamento e per quali vie il plusvalore viene estorto ai lavoratori. Così, o pressapoco, hanno il diritto di esprimersi i marxisti scientifici e noi faremo del nostro meglio per venire incontro ai loro desideri. Se Trotzky è d'accordo con Naville sulla questione della proprietà nazionalizzata ritenendola carattere peculiare dello stato operaio, non pare che il maestro la pensi come il discepolo in quanto al ritenere nazionalizzati nel paese di Stalin anche la rendita fondiaria ed il plusvalore. Ecco che cosa ci dice nella Rivoluzione Tradita: “Se noi traduciamo, per meglio esprimerci, i rapporti socialisti in termini di Borsa i cittadini potrebbero essere gli azionisti di un'impresa possedente le ricchezze del paese. Il carattere collettivo della proprietà suppone una ripartizione "egualitaria" delle azioni e, pertanto, un diritto a dei dividendi uguali per tutti gli azionisti. I cittadini, peraltro, partecipano all'impresa nazionale e come azionisti e come produttori. Nella fase inferiore del comunismo, quella che noi abbiamo chiamato socialismo, la rimunerazione del lavoro si fa ancora secondo le norme borghesi, ossia secondo la qualificazione del lavoro, la sua intensità, ecc.
Il reddito teorico di un cittadino è formato dunque da due o più parti, il dividendo più il salario. Più la tecnica è sviluppata, più l'organizzazione economica è perfezionata e più grande sarà l'importanza del fattore a) in rapporto a b), e meno sarà l'influenza esercitata sulla condizione materiale delle differenze individuali del lavoro. Il fatto che le differenze di salari nell'URSS non sono minori ma più considerevoli che nei paesi capitalisti, c) impone la conclusione che le azioni sono inegualmente ripartite e che il reddito dei cittadini comporta nel medesimo tempo che ad un salario ineguale corrispondano delle parti ineguali di dividendi. Mentre il manovale non riceve che b) salario minimo che, poste uguali tutte le altre condizioni, egli riceverebbe anche da un'impresa capitalista, lo stacanovista e il funzionario ricevono due a) più b) oppure tre a) più b) e così di seguito; b) potendo d'altronde anche divenire due b) tre b) ecc. La differenza di reddito è, in altri termini, determinata non dalla sola differenza di resa individuale, ma dalla appropriazione mascherata del lavoro altrui.
La minoranza privilegiata degli azionari vive a spese della maggioranza. Se si ammette che il manovale sovietico riceve più di quello che egli non riceverebbe, restando fisso il livello tecnico e culturale, in regime capitalista, ossia che egli è ciononostante un piccolo azionario, il suo salario deve essere considerato come a) + b). I salari delle categorie meglio pagate saranno in questo caso espressi dalla formula 3a + 2b, 10a + 15b ecc., che significherà che se il manovale ha un'azione, lo stacanovista ne ha tre e lo specialista dieci; e che inoltre i loro salari, nel vero senso della parola, sono nella proporzione di 1 a 2 e a 15. Gli inni alla proprietà socialista sembrano in queste condizioni molto più convincenti per il direttore d'officina o lo stacanovista che per l'operaio ordinario o il contadina del kolchoz. Ora i lavoratori di rango formano una, immensa maggioranza e la società e il socialismo deve contare con essi e non con una nuova aristocrazia”. Approviamo perfettamente e, se lo dice Trotzky che una minoranza privilegiata vive alle spalle di una che maggioranza beffata, pensiamo che anche Naville sene convincerà. Non possiamo neanche sperare di essere letti, ma ci pare per inciso che, se nazionalizzazione del plusvalore e della rendita fondiaria finiscono nelle tasche dei burocrati, è lecito pensare che anche la proprietà “nazionalizzata” sia di loro spettanza e non appartenga alla società che allora sarebbe squisitamente socialista. Da buon discepolo, il luogotenente francese ha tirato le conseguenze sul concetto del maestro relative alla proprietà sovietica ed ha eseguito una derivazione esatta, ma la posizione era sbagliata ed il risultato non poteva essere che errato. Se la prenda con Trotzky, se crede, od impari che al mondo anche i geni sono uomini e perciò fallibili, mentre le mediocrità possono qualche volta rilevare gli errori dei grandi uomini. Molto opportunamente però ci sottopone un passo interessantissimo del Capitale: “La forma economica specifica nella quale il sopra-lavoro non pagato è estorto ai produttori immediati determina il rapporto di dipendenza tra padroni e non padroni tale come esso discende direttamente dalla produzione stessa e, a sua volta, reagisce sopra di essa. È, d'altronde, la base sopra la quale riposa tutta la struttura della comunità economica, delle condizioni stesse della produzione, dunque nel medesimo tempo la forma politica specifica”. “È sempre nel rapporto diretto tra i proprietari dalle condizioni di produzione ed i produttori immediati - rapporto del quale la forma corrisponde sempre in un modo naturale a uno stadio determinato nello sviluppo delle modalità del lavoro ossia della produttività sociale - è sempre in questo rapporto che noi troviamo il segreto intimo, il fondamento nascosto di tutto l'edificio sociale e, per conseguenza, anche la forma politica rivestita dal rapporto di sovranità e di dipendenza, in una parola di tutta la forma specifica dello stato. Ciò non impedisce che la stessa base economica - la stessa intendiamo in quanto alle condizioni principali - possa, sotto l'influenza di diverse condizioni empiriche date storicamente agenti dal di fuori, condizioni naturali, differenze di razza ecc....., presentare, quanto alla sua manifestazione, delle variazioni e delle gradazioni infinite, la cui comprensione non è possibile che dall'analisi di queste circostanze empiriche date”.
Anche noi pensiamo esattamente che il segreto intimo dell'edificio sociale è rivelato dalla forma economica specifica nella quale il sopralavoro viene estorto ai produttori immediati; ma se questo sopralavoro va ad una classe privilegiata e la rendita fondiaria dei kolchoz prende la stessa via come dimostra Trotzki e non corre già allo stato, come vorrebbe dimostrare Naville con il suo esempio di kolchoz, ciò dimostra che la classe burocratica sovietica non è un fantasma: assume infatti le qualifiche di dirigente e di sfruttatrice. Ecco l'esempio di Naville sul kolchoz a mezzo del quale ci fa vedere come soltanto il 37% della produzione resta ai lavoratori ed il rimanente va allo stato, ed alla burocrazia direttamente solo in parte. “Un esempio. Ecco come la rendita fondiaria torna allo stato. La ripartizione dei prodotti e del denaro in un kolchoz si fa seguendo delle regole dettate dal governo. Dapprima un prelevamento è effettuato a profitto dallo stato, prelevamento la cui importanza varia seguendo la fertilità della regione e che arriva fino al 41% del raccolto. Poi viene dedotto il 2 o 3% per le spese amministrative e dal 13 al 25% per l'ammontare dei trattori e macchine agricole, infine 10,5% per i fondi di riserva. Il resto è ripartito tra i lavoratori, proporzionatamente alla quantità ed alla qualità del lavoro da essi effettuato”. Il punto essenziale è di vedere se con le percentuali devolute direttamente per le spese di amministrazione i burocrati vengono pagati in ragione della paga dell'operaio e ancor più è interessante il vedere che cosa ne fa lo stato sovietico del 60% della produzione incamerata. Rimette in circolazione totalmente questo plus-valore nell'interesse della massa estranea al governo della cosa “pubblica” o gli fa prendere delle direzioni particolari care alle sue qualità specifiche di stato di classe? La risposta è quasi oziosa: anche Gesù Cristo lavò prima i suoi santissimi piedi per lasciare poi il turno agli Apostoli.
Tutta la letteratura dei cavalieri d'Agramante, diciamo tutta, è qui ad accusare: “Le enormi differenze nelle retribuzioni fra i cittadini sovietici, la differenziazione crescente delle classi, la nuova borghesia, l'aristocrazia sovietica, la parte del leone, il 40% della produzione ingollato dalla burocrazia, la crescita degli antagonismi sociali, dell'ineguaglianza e....chi più ne ha più ne metta. Non ci voleva che la candida ingenuità del filisteo Naville per supporre che il plus-valore estorto ai lavoratori sovietici tornasse a loro in gran parte, a mezzo di un sedicente “stato operaio”.In realtà lo stato burocratico devolve in varie guise il plus-valore ai suoi funzionari che formano la classe privilegiata, insediata direttamente nello stato. Anche noi non avevamo mai vista una classe dominante direttamente alla direzione dello stato, né una burocrazia che fosse anche classe dominante. Oggi però lo vediamo e siamo anche persuasi di non prendere lucciole per lanterne. Ce ne duole per i cavalieri di Agramante che oggi si battono contro mulini a vento o meglio per dei Donchisciotte che hanno invaso il campo dannato alla discordia di un arcangelo vendicativo, ma la realtà sociale crediamo sia proprio questa. Scherzi della storia, piccoli contrattempi rivoluzionari di grandi marxisti scientifici o filistei. Per essere obiettivi dobbiamo convenire che Naville se ne accorge anche lui che i burocrati sovietici non restano indifferenti davanti alle montagne di plus-valore accumulate dallo “stato operaio” ed ecco che cosa dice: “Gli stalinisti ripetono che il plus-valore non esiste più nell'URSS poiché le officine appartengono agli operai". Ma a questa assurdità è inutile proporne una altrettanto grande: ossia che il plus-valore vi è prodotto e ripartito come nel sistema capitalista, e che per conseguenza i rapporti tra padrone e non-padrone, secondo l'espressione di Marx, vi sono simili. In realtà, la forma specifica dell'appropriazione di una parte di sopralavoro non pagato le conferisce il ruolo e la funzione di una classe semi-parassitaria e, presso certi strati, la tendenza diretta ad aprirsi la via di proprietari. La differenziazione estrema dei salari, fenomeno che colpisce e pieno di significato, non esaurisce ciononostante la questione del "segreto intimo, del fondamento nascosto di tutto l'edificio sociale". Questo segreto dello stato, transitorio dell'URSS e delle nuove contraddizioni che tiene in grembo è rilevato, se non si perde di vista il senso reale delle nazionalizzazioni e se non si maschera il loro vero carattere con delle analogie superficiali, con le statizzazioni fasciste di Mussolini o di Hitler”. Ma come li vede modesti questi burocrati sovietici regolarmente coperti d'ingiurie proprio dal signor Naville. Si approprierebbero solo di una “parte” del sopralavoro non pagato! Chissà con quale apparecchio può misurarla. Intravede poi nella burocrazia una casta “semi-parassitaria”. Bello quel “semi” così dovrà essere anche semi-dirigente, semi-sfruttatrice e semi-proprietaria. In verità il “segreto intimo” non è affatto esaurito dalle “differenze estreme dei salari”, ma solo indicato; il segreto intimo risiede nel rapporto tra i proprietari delle condizioni di produzione ed i produttori immediati. Ossia in forma algebrica proprietari-produttori = segreto intimo. Il termine del rapporto che sta al denominatore è conosciuto poiché i produttori immediati rappresentano una costante nota nello sviluppo sociale del lavoro. Il nominatore invece è variante poiché variabile è la forma di proprietà nello sviluppo economico. Bisogna appunto individuare questo termine e noi l'abbiamo trovato rappresenta?o nella burocrazia proprietaria dei mezzi di produzione in blocco, quale classe. Scriveremo quindi il rapporto in questo modo: burocrati-produttori = segreto intimo. Senza la nuova individuazione della proprietà, il segreto intimo resterà quindi sempre un mistero. Se si vuole poi conoscere il rapporto di dipendenza fra padrone e non padrone, si deve indagare in qual modo il plus-valore viene estorto ai produttori immediati.
Nella società sovietica gli sfruttatori non si appropriano direttamente del plus-valore come fa il capitalista incassando i dividendi della sua azienda, ma in modo indiretto, attraverso lo stato ché incamera tutto il plus-valore nazionale e poi lo ripartisce ai suoi stessi funzionari. Buona parte della burocrazia, tecnici, direttori, specialisti, stacanovisti, ecc. vengono in certo qual modo autorizzati a prelevare direttamente nell'azienda che controllano i loro pepati emolumenti, ma godono poi anch'essi come tutti i burocrati dei “servizi “ statali pagati con il plusvalore e che nell'URSS, in onore alle forme di vita “socialista”, sono importanti e numerosi. Nel complesso la burocrazia estorce, il plusvalore ai produttori diretti con una colossale maggiorazione delle spese generali nelle aziende “nazionalizzate”. Non si tratta del 2 o del 3% per spese amministrative notate nel celebre kolchoz di Naville, ma di percentuali che fanno rizzare i capelli al più coraggioso capitalista e sono documentate nelle opere di Trotzky stesso.
Vediamo dunque che lo sfruttamento alla sua forma individuale si trasforma in una forma collettiva corrispondente alla trasformazione della proprietà. Si tratta di una classe in blocco che ne sfrutta altra e che poi per vie interne a mezzo del suo stato passa alla distribuzione tra i suoi membri (c'è da aspettarsi un'ereditarietà delle cariche burocratiche). Il plus-valore è inghiottito dai nuovi privilegi attraverso la macchina statale che non è più un apparecchio di oppressione politica soltanto, ma anche di amministrazione economica della nozione. In un solo organo è stata riunita la macchina per lo sfruttamento e per il mantenismo dei privilegi sociali: l'apparecchio sembra perfetto. La forza-lavoro non è più acquistata dai capitalisti, ma monopolizzata da un solo padrone: lo stato. Gli operai non vanno più ad offrire il loro lavoro a diversi impresari per scegliersi quello che fa loro più comodo. La legge della concorrenza non funziona più: i lavoratori si trovano a discrezione dello stato. Le spese generali delle aziende che aumentano in modo fortissimo negli stati totalitari e non risparmiano le grandi democrazie, ci indicano che ovunque nel mondo il collettivismo burocratico è in via di formazione e che la proprietà di classe sta cristallizzandosi. Nell'URSS i salari sono fissati dalla commissione del “piano”, ossia dall'alta burocrazia. I prezzi di vendita al pubblico seguono la stessa sorte e ciò ci fa intuire che fra il costo di produzione delle merci ed il prezzo di vendita al pubblico la burocrazia fa i suoi affari. A causa delle sue forti spese aumenta il costo di produzione e per coprire i suoi emolumenti più o meno nascosti passa a delle maggiorazioni enormi sui prezzi di vendita. Il tradeunionista Citrine visitando un calzaturificio sovietico non è riuscito ad ottenere dal direttore i prezzi ai quali il pubblico avrebbe comperato le calzature che gli stavano mostrando, ma gli riuscì di sapere che nello spaccio del calzaturificio il prezzo era di 32 rubli, mentre nei magazzini di vendita trovò poi le stesse calzature esposte a 70 rubli. La vendita degli articoli fabbricati dall'azienda nello spaccio di questa è limitatissima: la burocrazia tratta gli operai come clienti e li invia “nei suoi negozi statali”. In un regime a “tendenze socialiste” una maggiorazione del 120% ci sembra una enormità. I commercianti capitalisti si limitano per lo stesso articolo ad una media del 40%. E la burocrazia che fa i bilanci delle aziende e dello stato e se non intasca i dividendi come i vecchi capitalisti, dispone a piacere dell'impiego delle somme accantonate. Tutto il senso della “vita felice” annunciata da Stalin è nelle maggiorazioni e nei prezzi di vendita imposti dalla burocrazia, nonché nel collocamento dei capitali accantonati per opere “pubbliche” che siano soprattutto di utilità alla classe burocratica. Il signor Naville dirà che si capitalizza anche per lo stato e per l'avvenire con l'impianto di grandi stabilimenti, di centrali elettriche ecc. ecc., ma quale è la classe sfruttatrice che non fu obbligata a far questo? Anche il borghese sfruttando il proletario ha potuto condurre una vita felice e nello stesso tempo ha capitalizzato per l'umanità: ci ha tramandato la più formidabile e perfetta organizzazione produttiva che il mondo avesse mai vista. Non per fare un regalo all'umanità, ma perché era spinto al perfezionamento delle sue macchine, alla razionalizzazione scientifica del lavoro ed alla creazione degli stabilimenti modello dalle necessità di sviluppo della produzione. Non fu quindi filantropia e la burocrazia sovietica, per le stesse leggi, è obbligata a “capitalizzare” per il futuro anche se la sua essenza resta tipicamente sfruttatrice.
E di questa classe cosa ne è nell'URSS.? Tutti sono unanimi nel ritenerlo defraudato, oppresso, sfruttato, ma non una voce si è alzata per vedere se per caso la personalità giuridica del lavoratore, che era stata cambiata in seguito alla Rivoluzione di Ottobre, non avesse subito una nuova metamorfosi. Eppure i produttori diretti cambiarono sovente di veste sociale nel corso della storia: furono schiavi, servi, proletari, paria ecc. Non una voce si è alzata naturalmente perché “sta scritto” nella Bibbia marxista che il proletariato sarà l'ultima classe sfruttata avente il disonore di apparire sulla scena della storia, dopo di che le classi scompariranno nell'umanità degli uguali. Le contestazioni però non sono mancate. “L'operaio non è nel nostro paese uno schiavo salariato, un venditore di lavoro-merce”l dice la “Pravda”. E Trotzky risponde: “All'ora presente, questa formula eloquente non è che una inammissibile fanfaronata. Il passaggio delle fabbriche allo stato non ha cambiato che la situazione giuridica dell'operaio; infatti egli vive nel bisogno lavorando un certo numero di ore per un salario stabilito. Le speranze che l'operaio fondava prima sul partito e nei sindacati, egli le ha riportate dopo la rivoluzione sullo stato che ha creato. Ma il lavoro utile di questo stato si è trovato limitato dall'insufficienza della tecnica e della cultura. Per migliorare l'uno e l'altro, il nuovo stato ha dovuto ricorrere ai vecchi metodi, all'usura dei muscoli e dei nervi dei lavoratori. Tutto un corpo di pungolatori si è formato. La gestione dell'industria è divenuta estremamente burocratica. Gli operai hanno perduto ogni influenza sulla direzione delle officine, lavorano a cottimo, vivendo in un malessere profondo, privati della libertà di spostarsi, subenti nell'officina stessa un terribile regime poliziesco; l'operaio potrebbe malamente sentirsi "un libero lavoratore”. Il funzionario è per lui un capo, lo stato un padrone. Il lavoro libero è incompatibile con l'esistenza dello stato burocratico. Tutto quello che noi abbiamo detto, si applica alle campagne con qualche correttivo necessario”. Ma se lo stato è un padrone e il funzionario un capo, dato che lo stato è un apparecchio e che, marxisticamente parlando, dietro lo stato c'è sempre una classe, non è forse vero che il “burocrate-capo” è anche il padrone e lo stato il suo organo di oppressione? Più in là Trotzky aggiunge: “La nuova Costituzione, quando dichiara che ''lo sfruttamento dell'uomo è abolito nell'URSS.'', dice il contrario della verità. La nuova differenziazione sociale ha creato le condizioni di una rinascita dello sfruttamento sotto le forme più barbare che sono quelle dell'acquisto dell'uomo per il servizio personale e altrui”. D'accordo! Sì, “l'acquisto dell'uomo per il servizio personale e altrui” ditelo pure con una parola sola: schiavismo (In realtà trattavasi di servaggio, servaggio di Stato.)! Che cosa si intendeva infatti per proletariato se non il libero venditore della sua forza-lavoro nel libero mercato capitalista? Colui insomma che trae il suo sostentamento unicamente nell'impiego dei suoi muscoli in un'impresa privata. La sua paga era regolata dalla domanda e dall'offerta in un mercato che non aveva confini. Nell'URSS questa legge non ha più alcun valore. Il mercato è chiuso, la concorrenza abolita, la paga viene fissata dallo stato a mezzo di fattori che hanno completamente cancellato le influenze della legge della concorrenza e per scartarla completamente lo stato ha monopolizzata la forza-lavoro. Di imprenditori non c'è che lui! Ai suoi tempi il proletariato offriva i suoi servigi a chi voleva, se ne andava quindi quando gli piaceva e dove meglio gradiva; aveva libertà di pensiero e sindacale, libertà di stampa, di riunione e di culto. Subiva le incertezze del mercato, ma era come un libero uccello librato in cielo e che poteva far nido in ogni angolo della Terra.
Il lavoratore sovietico non ha che un padrone, non può più offrire la sua merce-lavoro, si trova prigioniero senza via di scelta, messo alla portion cogrue, sradicato dal suo paese per essere trapiantato dove meglio aggrada allo stato e messo nella necessità di avere un passaporto per viaggiare all'interno. La sua personalità viene concepita dallo stato in funzione dell'economia nazionale, la sua individualità scompare, è divenuto un minimo ingranaggio di un immenso organismo ed ha senso, sociale solo se propriamente collocato in questo. I rapporti sociali tra proletari e capitalisti erano ridotti alla semplice espressione di un atto di compra-vendita ed il rito veniva consumato una volta alla settimana con la consegna della busta paga. All'infuori di questo semplice rapido gesto non vi era alcun altro legame sociale, ognuno se ne andava per la propria strada e secondo i propri gusti. Ora invece il lavoratore russo è a continuo e diretto contatto con il suo padrone, in fabbrica, nella casa, nella scuola, nel sindacato, a teatro, in campagna, deve intervenire alle riunioni “politiche”, dire sempre di sì, sottoscrivere a collette, volente o nolente, comperare il giornale od udire il pistolotto della radio che il padrone gIi ha amorosamente preparato come piatto spirituale del giorno. Se vuol fare della politica non ha che un partito da scegliere ed entrarvi non già come pensatore, ma come soldato.
La burocrazia sovietica è ovunque, onnipresente come una divinità. Lo stato, unico imprenditore della mano d'opera, non può prendersi il lusso capitalista di pagare la forza-lavoro e di disinteressarsi poi completamente dell'essere umano che l'esprime. Quale monopolizzatore non può più limitarsi all'acquisto di una certa quantità di mano d'opera per un periodo determinato. Accaparrandosela tutta e senza limiti di tempo, diventa di fatto anche possessore di coloro che producono la forza lavoro. In ultima analisi lo stato sovietico di oggi ha asservito in blocco il proletariato ed i rapporti tra imprenditore e prestatori di mano d'opera sono totalmente cambiati. Il lavoratore della Russia odierna non ha più nulla a che fare con il proletariato, assume i caratteri peculiari del servo. Lo sfruttamento avviene pressappoco come nelle società feudali: il suddito di stato lavora per un solo padrone: lo stato. Diventa un suo arnese, rappresenta le scorte vive che vanno curate, alloggiate, e della produzione ci si interessa vivamente. Anche il pagamento del cosiddetto salario, effettuato in parte con servizi statali e prodotti, non deve ingannare e lasciar supporre una forma socialista di retribuzione: si tratta effettivamente del mantenimento del servo. Unica differenza fondamentale è che anticamente i servi non erano generalmente ammessi all'onore di portare le armi mentre i servi di stato moderni vengono sapientemente ammaestrati nell'arte della guerra e devono essere pronti a lasciarsi sforacchiare da una mitragliatrice o distruggere da una cannonata per gli interessi della burocrazia.
Il lavoratore sovietico appartiene allo stato dalla culla alla tomba. La classe burocratica russa è la padrona della classe lavoratrice dispone della sua forza-lavoro e del suo sangue, le darà la possibi1ità di vivere con uno “standard” superiore a quello dei servi dell'antichità poiché tutto è relativo, ma la classe lavoratrice russa non è più proletaria: è serva di stato. Serva nella sostanza economica e serva nelle sue manifestazioni sociali. Si genuflette al passaggio del “piccolo padre”, lo divinizza, assume tutti i caratteri servili, si lascia sballottare da un capo all'altro dell'immenso impero in corvées compatte; costruisce canali navigabili, strade o ferrovie come un tempo eresse le piramidi o le torri di Babilonia. Quella piccola parte di essa, che non si è ancora perduta nell'indifferenza verso tutto e conserva la sua fede, si raccoglie a discutere nelle cantine come i cristiani una volta pregavano nelle catacombe. Ogni tanto arriva un'incursione di pretoriani e vi fa man bassa. Processi monstres vengono apprestati alla moda di Nerone e gli imputati anziché difendersi recitano il mea culpa.
Tutte le caratteristiche del lavoratore russo sono antitetiche di quelle proletarie, è divenuto un suddito di stato, ha acquisito quasi tutti i caratteri del servo e con il libero lavoratore non ha più in comune se non il sudore della fronte. I marxisti si possono armare della lanterna di Diogene se intendono scovare qualche proletario nelle città sovietiche. Il lavoratore russo è stato trasportato armi e bagagli con il suo sindacato nello stato. Una volta udiva i pamphlets scritti da Lenin e letti alla Duma dal suo deputato; ora invece è comandato a riunioni politiche, ove si reca in gregge, ridotto ad elemento incosciente di una massa di manovra unicamente diretta dalla burocrazia. Un solo padrone di servi si è erto nelle piane di Russia: lo stato. Marx non l'aveva prevista una simile fine dei proletari, ma questa, almeno per noi, non è ragione sufficiente perché lo si debba negare. I santi, noi, non li adoriamo. Come gli Ebrei escono ogni anno fuori le mura ad attendere il Messia, così i marxisti filistei attendono la riscossa del “proletariato” in Russia. Quando la burocrazia sovietica cadrà riversa ai piedi del mausoleo di Lenin, sarà la spada di un servo che le avrà tratto il cuore. E se il quarto squadrone internazionale del campo di Agramante sostiene sempre scientificamente che di rivoluzione sociale nell'URSS ormai non ce n'è più bisogno e tutto si ridurrà ad un pronunciamento di palazzo strettamente politico, invochi nelle prossime sedute spiritistiche le anime trapassate di Zinoviev, di Kamenev, Tomsky ecc. ecc. assieme a tutto l'alone infinito dei martiri oscuri, e li interroghi. Risponderanno in coro: “Siamo morti nella guerra di classe necessaria alla burocrazia affinché affermasse il suo dominio sociale; quello che noi volevamo era tutt'altro: insellate i cavalli e brandite le lance”. Colmo di ironia: le lance non vengono impugnate, ma spezzate per “la difesa dell'URSS”!
La nazionalizzazione dei mezzi di produzione in Russia rappresenta il massimo atout giocato dai cavalieri d'Agramante per sostenere la loro tesi dello “stato operaio”. Secondo Trotzky, il capitalismo di stato significa la sostituzione della proprietà statizzata a quella privata. Per statismo, invece, intende l'intervento dello stato sulle basi della proprietà privata. Mentre il primo rappresenterebbe “uno dei sintomi per cui le forze produttive del capitalismo sorpassano il capitalismo e lo inducono a negarsi parzialmente nella pratica”, il secondo non sarebbe che il risultato economico dell'intervento dello stato borghese forzato a salvare la proprietà privata. Non nega che si tocchino ma, come sistema, li ritiene contraddittori. Questa contraddizione non ci persuade. Per noi non si tratta che di due manifestazioni diverse dello stesso fenomeno, in certo qual modo della reazione interna, diremmo quasi naturale, dell'organismo sociale ammalato e che ci indica in un modo preciso la orma collettiva che deve assumere la proprietà, non ché la necessaria introduzione di, un'economia pianificata (Credevo ancora alla pianificazione come tanti oggi, ma nello svolgersi di questo film di pensiero finisco per tirare dovute deduzioni dal fatto già notato che nazionalizzazioni e programmazione sono perfettamente confacenti ad una burocrazia di stato che si trasforma magari inconsciamente in nuova classe dirigente). Lo statismo entra in campo per salvare le forze produttive; non può avere un programma di sviluppo, poiché rappresenta una reazione incosciente dell'organismo capitalista, ma, dal punto di vista sociale, non può essere guardato come avente lo scopo di “conservare la proprietà privata a detrimento delle forze produttive”. Finché il medico burocratico o socialista non interviene, l'ammalato si cura da sé.
Capitalismo di stato e statismo, secondo noi, corrispondono, in miniatura, alla nazionalizzazione della proprietà ed all'economia pianificata. Fin che si mantengono in una misura di carattere sporadico, permangono in essi le stesse caratteristiche sociali proprie alla qualità dell'economia in cui appaiono, ma, quando il fenomeno si generalizza, il tipo stesso dell'economia diviene un altro. Entra in campo la legge dialettica della trasformazione della quantità in qualità, per ignoranza della quale alcuni ultra-sinistri hanno creduto bene di tacciare Trotzky dell'epiteto di jongleur. A nostro avviso l'errore di Trotzky sta proprio nel fatto che non applica questa legge al fenomeno fascista, per cui, se “lo stato borghese appartiene alla burocrazia solamente in qualche modo”, con lo sviluppo progressivo delle statizzazioni e del capitalismo di stato deve arrivare un certo momento in cui l'economia non risulta più capitalista e lo stato borghese non appartiene più “in qualche modo” alla burocrazia fascista, ma è divenuta peculiarmente fascista e la burocrazia rappresenta ormai la classe sulla quale si fonda. Nell'URSS. la “nazionalizzazione” della proprietà è avvenuta di colpo in seguito alla Rivoluzione d'Ottobre, ma se il concetto di nazionalizzazione non ha alcun significato scientifico, negli effetti, in Russia, si è proceduto a generalizzare d'un colpo solo il capitalismo di stato ed il suo fratello di latte: lo statismo. Che ne avvenne dell'economia? E divenuta socialista? No, dice Trotzky. E ancora capitalista? No, diciamo noi, si tratta di collettivismo burocratico. Leone Trotzki pensa che “non si cambiano le fondamenta della società senza rivoluzione o controrivoluzione e noi siamo perfettamente d'accordo. Vorremmo però chiedere che cosa rappresenti la lotta che egli stesso ha vissuta e sofferta. Non si tratta forse di lotta di classe tra il proletariato e la burocrazia in formazione? E l'uragano di delitti che da qualche anno insanguina la Russia non è forse l'ultima fase di questa lotta? Una vera e propria guerra di classe dove la nuova classe dirigente afferma il suo potere? E la lotta tra la borghesia italiana e il fascismo forse che Trotzky non la conosce?
Con quattro colpi di “manganello” le camicie nere si liberarono del proletariato. Al sorgere del loro movimento. Quello che seguì poi fu una lotta serrata, anche nell'ombra, ma a coltelli corti tra la vecchia classe dirigente e la nuova in formazione. Una volta lasciatasi sopraffare, è ben difficile che la borghesia raccolga ancora le energie necessarie per “opporsi violentemente” e proprio anche per non offrire possibilità rivoluzionarie ai lavoratori. Meglio male che peggio, dice il borghese italiano ed istintivamente i più scaltri invadono lo stato trasformandosi in burocrati. Gli attriti tra i fascisti della prima ora e gli ultimi arrivati nascono appunto da questo fenomeno. Che lo stato, fascista appartenga alla burocrazia soltanto “in qualche modo” è fondamentalmente vero; non le appartiene ancora totalmente, ma lo sarà con l'avvento completo dello stato totalitario. Trotzky ammette che la burocrazia fascista potrebbe trasformarsi in una nuova classe; perché non convenire che ciò sia già avvenuto in Russia dove lo stato totalitario è un fenomeno acquisito? Egli s'illude ancora che Hitler e Mussolini, tentando di nazionalizzare completamente la proprietà, si urteranno all'opposizione violenta dei capitalisti. Si arriva troppo tardi e, per avere informazioni, non c'è che da rivolgersi a Von Seckt, ad Amendola, a Nitti o al senatore Albertini.
Purtroppo all'estero e specialmente nel campo marxista si è capito ben poco del fenomeno fascista. Lo definirono dapprima quale piccolo borghese, quasi che questa categoria potesse svolgere un ruolo direttivo. Lo han visto scagliarsi sulle organizzazioni operaie e non possono vedervi che un fenomeno sociale di reazione. Accecati dal binomio: borghesia-proletariato, non possono ammettere che un'altra classe, e per il disgregarsi dell'economia capitalista e per la mancata presa di potere da parte del proletariato, sorge a risolvere almeno nel dominio della produzione il grande antagonismo della società capitalista. Senza tanto chiasso come del resto avvenne in Inghilterra durante la rivoluzione borghese che precedette quella francese di un secolo e mezzo, un pugno di uomini decisi si è imposto alla classe dirigente dalla quale avevano ricevuta una momentanea investizione di potere. Compresero presto che per mantenervisi bisognava seguire una strada opposta a quella degli immortali principi dell'economia liberale e non esitarono nel seguirla. Non si può disconoscere che il fascismo sia arrivato al potere con un colpo di forza anche se con l'assenso della Corona. Basta rileggere il “Corriere della Sera” di quei giorni per farsene persuasi. Il grande giornale della borghesia liberale sembrava scritto da rivoluzionari. Il caso Matteotti stesso non è che una delle manifestazioni della lotta tra i borghesi ed i fascisti. Che dalla parte del proletariato si trovassero i cosiddetti partiti socialisti non conta affatto, poiché questi partiti erano a rimorchio della vecchia classe dirigente. Il proletariato non aveva altra via che quella di scendere nella strada, ma si trovava sotto una falsa direzione ed i vari Turati, Treves, Modigliani, ecc. li consigliavano di starsene tranquilli, di non provocare e di avere il coraggio della viltà. Oggi il fascismo ha una tale forza che la borghesia è alla sua discrezione. Potrà darsi che qualche ' sussulto si manifesti ancora, ma la lotta è ormai chiusa da diversi anni. I putsch fatti a suo tempo contro Hitler avevano lo stesso fondo borghese, ma sono stati soffocati nel sangue, così come la Russia oggi soffoca nel sangue ogni resistenza alla dominazione della burocrazia sovietica.
L'argomento della nazionalizzazione fu già trattato incidentalmente anche da Engels. Nel 1878 diceva: “Le loro trasformazioni in proprietà di stato non spogliano le forze produttive della loro qualità di capitale. Lo stato moderno non è che un'organizzazione datasi dalle società borghesi per mantenere le condizioni generali esteriori al modo di produzione capitalista in faccia ai lavoratori così come ai capitalisti isolati. Lo stato moderno, quale che sia la sua forma, è una macchina essenzialmente capitalista; è lo stato dei capitalisti; è il capitalista collettivo ideale. Più si appropria delle forze produttive, più diviene un vero capitalista collettivo, più sfrutta i cittadini. I lavoratori restano dei salariati, dei proletari. Il capitalismo non è soppresso, al contrario spinto all'estremo. Ma arrivato a questo punto estremo, cambia di direzione. Lo stato proprietario delle forze produttive non è la soluzione del conflitto: ma tiene in sé il mezzo medesimo, la chiave della soluzione: ...la presa del potere da parte del proletariato”. Le nazionalizzazioni delle ferrovie, delle poste e telegrafi o dei tabacchi, che avvenivano all'apice dello sviluppo economico capitalista, additavano chiaramente l'inevitabile e ineluttabile trasformazione della proprietà privata in collettiva, iniziavano altresì quel processo d'involuzione statale nel quale il capitalismo si è sempre più ingolfato fino a divenire spasmodico in questa odierna fase di liquidazione della vecchia società. Questo processo d'involuzione e di ipertrofia statale è conseguenza della mancata rivoluzione proletaria, ma le nazionalizzazioni di cui parlava con tanta preveggenza Engels nel 1878 assumono un aspetto ben diverso in questo periodo non solo di decadenza, ma di liquidazione del capitalismo. Se nel 1878, all'apice dello sviluppo borghese, rappresentavano il non surplus ultra della creazione capitalista: “il capitalista collettivo ideale”, come dice Engels, le nazionalizzazioni odierne non si limitano più ai tabacchi o alle ferrovie, investono l'industria, il commercio, le banche, le assicurazioni, gli scambi con l'estero ed anche la terra: “nazionalizzando”, distruggono la proprietà privata, polverizzano quindi la borghesia come classe. A noi pare che Engels intraveda chiaramente il capovolgimento, sociale che s'impone quando lo stato spinge al limite le nazionalizzazioni. “arrivato a questo punto estremo, egli cambia direzione. Lo stato proprietario delle forze produttive non è la soluzione del conflitto”. Cambia direzione, diciamo anche noi; solo che quello che per Engels era dissertazione oggi è realtà sociale e bisogna individuare la “nuova direzione”. Si è sempre creduto che la chiave della soluzione fosse nella presa del potere da parte del proletariato, ma la realtà è che nell'URSS ne è stato privato e nel resto del mondo si trova politicamente battuto. Intanto il fenomeno avviene e se il proletariato è assente, chi ha preso il potere? La burocrazia, rispondiamo noi. L'opera viene compiuta da funzionari e da tecnici che si cementano in una nuova classe dirigente. Nell'URSS la collettivizzazione dei mezzi di produzione è avvenuta di co1po ed era socializzatrice, ma l'arresto della rivoluzione nel mondo ha fermato questo processo e rimane solo la forma collettiva della proprietà che dall'egida della dittatura del proletariato è passata sotto quella di una nuova classe dirigente.
E' la bestia nera dei marxisti ortodossi e scientifici, s'aggira come un fantasma sul campo d'Agramante, disturba i loro sonni e ne riempie d'angoscia i sogni. Tutti, tutti quanti, sono ossessionati dal timore di veder ricomparire la borghesia da una metamorfosi burocratica. Come spauracchio per coloro che non intendono difendere l'URSS l'argomento è buono, ma per poter sostenere che io sviluppo economico possa tornare all'ordinamento capitalista non sembra troppo adatto. Marx non ha mai fatto un accenno del genere e la storia registra un crescendo costante nel volume della produzione parallelamente ad organizzazioni economiche progressive che scacciano quelle superate. I nostri cavalieri dichiarano che l'attuale sistema produttivo dell'URSS è superiore a quello borghese, ma insistono nell'agitare il loro fantasma. Fare una serie di citazioni è perfettamente inutile: tutta la loro letteratura ne è piena con Trotzky in prima linea. Naville però va oltre tutti e bisogna citarlo, anche se ci duole perdere tempo su di un argomento tanto banale. “L'ondata di terrore controrivoluzionario che la burocrazia scatena sulle ferrovie, le officine e i campi fucilando a centinaia gli operai ed i funzionari recalcitranti, è la conseguenza della nuova Costituzione della speranza che essa apre ad una serie di strati sociali dietro ai quali si tiene in agguato il capitalismo mondiale. La burocrazia scudo di questa restaurazione rischia però di non arrivare essa stessa a montare in sella. È ciò che rivela la funzione contraddittoria ed ambigua della burocrazia sovietica, che scalza essa stessa le fondamenta della sua esistenza: la proprietà statale collettiva del suolo, dei mezzi di produzione, della grande industria, delle abitazioni e del commercio”. Il capitalismo è all'agguato e la burocrazia sta facendosi il karakiri. Dormite tranquillo, o prode cavaliere, la burocrazia ha ben altre intenzioni! Più in là aggiunge: “La burocrazia ha fatto votare una nuova Costituzione che garantisce una serie dei suoi privilegi, ha assassinato quasi tutti i vecchi dirigenti bolscevichi la cui fedeltà era sospetta; essa ha dato alla diplomazia della società delle nazioni delle garanzie inaudite; malgrado tutto ciò, essa resta legata non solamente a causa delle sue origini, ma anche in conseguenza del suo modo di funzionamento, di reclutamento, di riproduzione, di consumo attuali, ai quadri della proprietà definita al momento della Rivoluzione d'Ottobre”. Con queste due sole citazioni qualsiasi modesto lavoratore torce la bocca e pensa di non arrischiare l'unghia di un dito per il paese della “vita felice”, ma i marxisti scientifici son duri a morire. Ritti ed
imperterriti su di una breccia posticcia sciabolando l'aria invasa da fantasmi. La Rivoluzione d'Ottobre ha bisogno di una seconda edizione.
La preveggenza di Naville arriva al punto di precisarci la forma specifica che assumerà l'economia con la restaurazione. “Essendo data la differenza fondamentale che esiste tra l'industria statale dell'URSS e il capitalismo dei monopoli nel sistema dell'imperialismo, è evidente che, per ritornare al capitalismo privato nelle branche fondamentali della produzione, bisognerà anche che la burocrazia si decomponga; si vedrebbero allora sorgere nell'URSS delle classi sociali, che a causa del loro modo di esistenza economica sarebbero le sorelle di sangue della borghesia e anche del fascismo europeo”. La burocrazia, a causa dei suoi modi di esistenza, è già discendente di sangue della borghesia ed il fascismo è nient'altro che un gemello. Ne prendono il posto direttivo. Stia tranquillo il signor Naville, la burocrazia sovietica non si decomporrà ed in modo particolare giammai nei monopoli. Oltre quest'ultimi, si è già da tempo arrivati al capitalismo di stato applicato più o meno largamente, ma in crescendo in tutti i paesi e non pare logico che si debba ritornare ai monopoli, forme capitaliste anteriori allo stesso imperialismo e molto meno monopoliste delle imprese di stato.
Trotzky ha insegnato che la burocrazia sovietica è il “commesso dell'imperialismo”, ma gli allievi si spingono ancora più in là a ritroso nella storia, arrivano ai monopoli privati. Anche se l'URSS venisse smembrata dall'antikomintern, non si capisce per quale ragione i conquistatori dovrebbero distruggere un sistema economico che è in via di costruzione proprio in casa loro ed a prezzo di sacrifici immani sia nel campo nazionale sia in quello internazionale e quando proprio questo sistema spiega la loro apparizione nella storia ed i loro successi. Ammesso e non concesso che gli stati totalitari smembrassero l'URSS riteniamo che la forma economica sarebbe mantenuta e stavolta la burocrazia sovietica diverrebbe sul serio “il commesso” nippo-italo-germano. Forse che il feudalesimo ha mai inteso passare allo schiavismo? Forse che il capitalismo ha avuto qualche nostalgia feudale? E la celebre restaurazione francese non ha forse fissato il dominio incontrastato della borghesia? Ciò fu proprio la sua ragione di essere, il suo compito storico. Napoleone ne approfittò per i suoi insani progetti di megalomania, ma a condizione di mantenersi difensore o propagandista degli “immorali principi”.
Tutta l'analogia che Trotzky stabilisce tra i regimi autoritari odierni e quelli bonapartisti non è molto indicata per lo scopo che si propone di raggiungere. I fenomeni bonapartisti del XIX secolo non hanno a che vedere con quanto accade in Russia, in Germania e in Italia. Il bonapartismo di Napoleone I e di Napoleone III lasciò intatta la base economica sociale, mentre i pretesi bonapartismi del secolo XX sconvolgono proprio profondamente il tessuto connettivo della società. E se l'URSS burocratica trovò già compiuta la nazionalizzazione della proprietà ed ora mantiene, con la definizione dispregiativa di bonapartismo, s'incorre nel pericolo di giustificare storicamente il fenomeno stalinista. Trotzky ha sempre avuta una mano felice nello scegliere gli slogan; vi ha un'arte innata cui arride il successo anche quando genera confusione. Per dare una spiegazione della qualifica di “stato operaio” ancora appioppata al collettivismo burocratico di Stalin ha trovata una esilarante analogia. Eccola: “L'URSS è uno stato operaio? L'U.R.S.S. è uno stato che si appoggia sopra dei rapporti di proprietà creati con la rivoluzione proletaria e che è diretto da una burocrazia operaia nell'interesse dei nuovi strati sociali privilegiati. L'URSS può essere chiamata uno stato operaio nel medesimo senso pressappoco -malgrado l'enorme differenza di scala- che un sindacato diretto e tradito dagli opportunisti, ossia dagli agenti del capitale, può essere chiamato una organizzazione operaia”. Ne viene che una burocrazia operaia sfrutta economicamente i suoi padroni, casa mai verificatosi sotto la cappa del cielo e, per dar realtà ai fantasmi, si ricorre proprio ad uno di quegli stratagemmi che rappresentano l'arte insuperata di Trotzky: si paragona lo stato ad un sindacato. Vien fatto di pensare a quel tal nazista che, per impedire agli ariani d'incrociarsi con i semiti, racconta che il cane fa all'amore con la cagna, il gatto con la gatta, il leone con la leonessa, quindi....
Craipeau s'indigna con ragione, morde il freno in tutto il suo esposto. E' stato un piacere per noi scoprire questa mosca bianca, un piacere paragonabile a quello di Robinson quando finalmente trovò compagnia. Pensiamo però che la sua concezione della burocrazia sovietica puzzi troppo di “borghese”. Che la nuova classe si “abbandoni a tutti i piaceri” è logico poiché è nel programma di tutte le classi dominanti sfruttatrici, ma non tema, Craipeau, l'accumulazione delle ricchezze, né la loro ereditarietà. La burocrazia non ha la natura del singolo proprietario borghese. Costui faceva bella mostra dei suoi possessi, ma la proprietà è oggi talmente vicina alla socializzazione (nell'evoluzione storica), ossia alla scomparsa quale proprietà che, oltre ad aver assunta una forma collettiva, viene anche nascosta e negata dagli attuali possessori. Quello che preme al burocrate è soprattutto il plusvalore, ma anche qui è in parte obbligato a consumarselo di nascosto. E perché Craipeau lui pensa ad un ritorno a alla borghesia? Giacché ammette l'esistenza di una nuova classe che non è borghese, o per lo meno non ritiene ancora tale, perché vuole che debba trasformarsi subito nuovamente in borghesia? Se una classe si è formata è perché storicamente le compete un ruolo da svolgere nell'ascensione storica dell'umanità (Credevo ancora al progresso continuo). La nostra conclusione su questo punto è che la burocrazia abbia, o si sia assunta, il compito di organizzare la produzione su base di proprietà collettiva pianificando l'economia nel quadro dello stato, mentre al socialismo resterebbe la razionalizzazione internazionale e il problema della distribuzione sociale dei prodotti ( Oggi la pensiamo ben diversamente, ma il nostro film di pensiero non si sarebbe mai svolto, se non avessimo identificato nell'URSS un ordine sociale né sociale né capitalista, né socialista).
Anche sull'essenza del fascismo Craipeau giudica erratamente. Il fascismo è stato al servizio della borghesia ed ha anche tentato di continuare con l'economia capitalista, ma, nelle necessità dello sviluppo economico, ha trovato delle condizioni ancora più autoritarie del suo stesso movimento politico che lo obbligarono a prendere rapidamente la via dello stato totalitario. Temere queste constatazioni vuol dire giungere allo scopo contrario, fare il gioco altrui, girare il film del riformismo alla rovescia. Giacché l'avete riscontrato esattamente contro Trotzky, perché non lo fareste con voi stesso? L'ipotesi della Rivoluzione Tradita, che avete citata, ha realmente un senso storico non logico. L'autore la fa infatti subito seguire dalle frasi: “ma questa ipotesi è ancora prematura. Il proprietario non ha ancora detta la sua ultima parola”. Ammessa l'esistenza di una nuova classe nella Russia, si spalancano dei baratri alla mentalità marxista, ma non si possono evitare coprendosi gli occhi. Il calice amaro va bevuto fino all'ultima goccia e solo dopo è possibile riprendere ad avvolgere il filo per il diritto.
Lo definiamo così perché il fenomeno è generale e non solamente russo. Nell'URSS è tipicamente burocratico perché è sorto dalla burocrazia operaia, ma nei paesi totalitari va a nutrirsi naturalmente tra i tecnici, gli specialisti, i funzionari sindacali di partito di tutte le specie e di tutti i colori; trova la materia prima nel grande alone della burocrazia statale e parastatale, negli amministratori delle società anonime, nell'esercito, nei liberi professionisti e nella aristocrazia operaia stessa. Quella tal classe media verso la quale i partiti sovversivi dimostrano tanta avversione e la più imbecille arte politica ricacciandola sempre nelle braccia del capitalismo, ha trovata l'ora di dar sfogo al suo rancore contro i vecchi padroni e contro chi non seppe chiudere un occhio alle sue inevitabili ed organiche debolezze. Invece di averla come fiancheggiatrice, di sfruttarne le sue capacità lasciando qualche soddisfazione alla sua mentalità piccolo borghese, il proletariato se la trova contro e in veste di classe dirigente. Tutto il mondo economico politico morale e coreografo rispecchia la sua mentalità. La nazionalizzazione vien limitata alle grandi imprese ed in Russia vi sta arrivando in senso inverso. Non si procede all'accumulazione di capitali, ma alla conquista della “via felice” naturalmente in scala burocratica si livella in alto, ma si differenzia a mezza strada, e per stabilizzare la situazione, lo stato viene invaso e tenuto in saldo possesso. Ne sorge il culto, lo si rende onnipresente, onniveggente e onnipotente. L'economia si gerarchizza con impulso procedente dall'alto in basso come in tutte le scaleburocratiche.
Politicamente i partiti vengono ridotti ad uno solo che non è più neanche un partito, ma un organo dello stato. La piccola borghesia, contrariamente alla. democrazia capitalista e socialista, è intransigente e assoluta non avendo un programma chiaramente definito. I concetti nazionalisti di eroismo personale, dedizione al capo, ecc. vengono esasperati o rimessi in auge anche in Russia. La morale ritorna quella della famiglia piccolo borghese con il suo idolo, il suo dio, l'autorità paterna e, sulla donna, l'aborto per chi può pagarne le spese ecc. ecc. Il burocrate russo si sente capo e padrone, il suo disprezzo intimo per il lavoratore ne è la logica conseguenza. “Sei nato per tirare il carretto”, dice tra sé. Il fenomeno non meraviglia troppo. Che cosa erano nella loro grande maggioranza tutti i mandarini sindacali e di partito se non dei piccoli borghesi nella loro bottega? Non accarezzavano le spalle del cliente proletario mettendogli la pratica sotto il calamaio? E non son forse ancora gli stessi, dove permane il loro Impero? Il fenomeno è tanto vero che quando i loro colleghi russi arrivarono al potere, si misero subito a loro disposizione lieti di aver trovato una cassa sicura che non subiva le fluttuazioni del mercato capitalista, che era ben fornita ed aperta alla sola condizione di un'esatta ubbidienza burocratica. Non fu difficile intendersi, ma si può sapere dov'era e dov'è il proletariato? La sua disgrazia se la merita un pochino, poiché una classe che vuol divenire dominante nella storia non deve dimostrarsi debole al punto da farsi soggiogare dalla propria burocrazia anche nel periodo prerivoluzionario. Invece di uno stato che si dissolve in una amministrazione economica procedente dal basso, lo stato viene gonfiato burocratizzando l'economia con una direzione che va dall'alto al basso.
La Casa dei Soviet alta 360 metri resterà quale emblema di questo periodo e quale “Bastiglia” del mondo burocratico (Vedevo la nuova classe ma erroneamente la facevo derivare da una piccola borghesia trasformata. In realtà, come assodai più tardi, la prima coagulazione della nuova classe è il partito unico che s'assesta al potere. Creando un nuovo stato, procede ad allargare e perfezionare la nuova classe dirigente tutta volta alle cure di stato dal quale riceve emolumenti preferenziali Ma perché il partito unico, od anche più furbescamente una coalizione governativa di vari partiti, rappresenta la prima coagulazione della prossima classe dirigente? Perché s'impossessa continuamente continuamente delle leve economiche. Una semplice constatazione marxista che i “marxisti” si guardano bene di mettere in luce.).
Ecco che cosa dice Trotzky ed ecco le nostre osservazioni: “Qualificare di transitorio o di intermediario il regime sovietico significa scartare le categorie sociali acquisite, come il capitalismo (ivi compreso il “capitalismo di stato”) e il socialismo. Ma questa definizione è in se stessa affatto insufficiente e suscettibile di suggerire l'idea falsa che la sola transizione possibile al regime sovietico attuale conduce al socialismo. Un rinculo verso il capitalismo rimane ciò nonostante perfettamente possibile. Una definizione più completa sarà forzatamente più lunga e più pesante”. Un regime sociale non è mai transitorio, è peculiare di un determinato tipo di società. La fase sociale di transizione nella quale cristallizza il nuovo regime è da lungo tempo sorpassata. La cristallizzazione sociale è avvenuta. Non è socialista e non è capitalista. Trattasi di un nuovo tipo di società con sistema economico comunemente inteso per capitalismo di stato, con regime politico di collettivismo burocratico con proprietà di classe sfruttamento di classe e, naturalmente, divisione della società in classi può escludere quindi la “sola transizione” verso il socialismo ed eziandio quella verso il capitalismo privato (non fosse perché ne è appena venuto), poiché le sue tendenze in sviluppo sono nettamente ultra stabili e non individualiste.
L'URSS è una società intermediaria tra il capitalismo ed il socialismo nella quale:
a) “Le forze produttive sono ancora troppo insufficienti per dare alla proprietà di stato un carattere socialista”. Dietro lo stato c'è la classe dominante, quindi niente proprietà socialista a mezzo dello stato. Una proprietà di classe o di stato non sarà mai proprietà socialista. Trattasi di qualità e non di quantità.
b) “La tendenza all'accumulazione primitiva, nata dal bisogno, si manifesta attraverso tutti i pori dell'economia pianificata”.E' naturale, ma ciò non significa che questa riaccumulazione primitiva debba sommergere il nuovo regime e la sua economia. I nuovi padroni penseranno a difendersi.
c) “Le norme di ripartizione, di natura borghese, sono alla base della differenziazione sociale”. Non si tratta di norme borghesi, ma peculiari di una nuova classe sfruttatrice. Il capitalista incassa i prodotti direttamente dalla sua azienda. I burocrati li ricevono dallo stato che, previamente, li ha tolti a tutte le aziende. Non è la stessa norma di ripartizione ed anche la strutturazione sociale che ne scende non è la stessa.
d) “Lo sviluppo economico, nel mentre migliora lentamente la condizione dei lavoratori, contribuisce a formare rapidamente uno strato di privilegiati”. Non neghiamo il miglioramento, osserviamo soltanto che ci vuol poco ad elevare le condizioni economiche in cui erano caduti i proletari russi. L'interessante è di vedere se la burocrazia sovietica è capace di elevare le condizioni dei propri sfruttati al disopra di quelle capitaliste. E che “uno strato di privilegiati” si sviluppi, è troppo logico in una società divisa in classi.
e) “La burocrazia, sfruttando gli antagonismi sociali, è divenuta una casta incontrollata, estranea al socialismo”. E' una classe dominante che ha la sua ragione dell'essere nel sistema economico messo in vigore e nella proprietà di classe che ne è derivata. f) “La rivoluzione tradita dal partito al governo vive ancora nei rapporti di proprietà e nella coscienza dei lavoratori”. La nuova. proprietà russa non è di nessun vantaggio per chi lavora; frutta a chi dirige dallo stato. Ecco il risultato della “rivoluzione tradita” ed a presto quella delle coscienze.
g) L'evoluzione delle contraddizioni accumulate può sboccare al socialismo o proiettare verso il capitalismo”. L'evoluzione è già arrivata dove doveva arrivare, sta completandosi e perfezionandosi.
h) “La controrivoluzione in marcia verso il capitalismo dovrà spezzare la resistenza degli operai”. Questa resistenza è già travolta e la controrivoluzione assesta il collettivismo burocratico a mezzo del suo bravo stato totalitario, mentre non è per nulla in marcia verso il vecchio capitalismo privato con la sua brava democrazia.
i) “Gli operai marciando verso il socialismo dovranno rovesciare la burocrazia. La questione sarà decisa in definitiva dalla lotta delle due forze vive sopra il terreno nazionale ed internazionale”. D'accordo. Si tratta però di una questione nuova. Difendere l'URSS vuol dire, quindi, difendere un nuovo sistema di sfruttamento e la classe che ne approfitta. La società burocratica è un fatto in Russia. Diretta da una classe dominante a carattere nazionale si opporrà sempre più alle “fantasie” internazionaliste, preferirà il vassallaggio ed intanto aderirà alle varie “società delle nazioni” a seconda dei suoi peculiari interessi di classe. Una volta di più i lavoratori sono gabbati; le esperienze in Cina ed in Spagna servono a comprova.
Ultima modifica 26.04.2011